La dimensione non strettamente individuale della retribuzione da intendersi come “giusto salario” che consenta di soddisfare le esigenze non soltanto del lavoratore, ma della propria famiglia, è ben presente in tutto il magistero sociale fin dalle primissime encicliche ed è positivizzato al livello più alto nella Costituzione repubblicana la quale all’art. 36 – non a caso interpretato come immediatamente precettivo dalla giurisprudenza – dispone che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Se dunque l’elemento economico è senza dubbio centrale – e suonano sempre attuali le parole della Mater et magistra per cui “la retribuzione del lavoro, come non può essere interamente abbandonata alle leggi di mercato, così non può essere fissata arbitrariamente; va invece determinata secondo giustizia ed equità” (71) – al contempo il rapporto tra lavoro e famiglia non può certo ridursi alla sola fissazione delle retribuzione, ma deve necessariamente coinvolgere quella che comunemente si definisce conciliazione tra vita familiare e vita professionale: tema cui il Magistero ha sempre prestato attenzione, anche con riferimento alla specificità del lavoro femminile, sostenendo la necessità che le donne non siano obbligate a scegliere tra lavoro e famiglia, circostanza ancora molto comune – come purtroppo provano i dati annualmente elaborati dell’Istat – mostrando come il dettato dell’art. 37 Cost. per cui “le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione” necessiti di una maggiore effettività.
Altimari, M., Lavoratori e famiglia, Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo, Vita e Pensiero, Milano 2021 1/2021: 72-78 [https://hdl.handle.net/10807/317520]
Lavoratori e famiglia
Altimari, Mirko
2021
Abstract
La dimensione non strettamente individuale della retribuzione da intendersi come “giusto salario” che consenta di soddisfare le esigenze non soltanto del lavoratore, ma della propria famiglia, è ben presente in tutto il magistero sociale fin dalle primissime encicliche ed è positivizzato al livello più alto nella Costituzione repubblicana la quale all’art. 36 – non a caso interpretato come immediatamente precettivo dalla giurisprudenza – dispone che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Se dunque l’elemento economico è senza dubbio centrale – e suonano sempre attuali le parole della Mater et magistra per cui “la retribuzione del lavoro, come non può essere interamente abbandonata alle leggi di mercato, così non può essere fissata arbitrariamente; va invece determinata secondo giustizia ed equità” (71) – al contempo il rapporto tra lavoro e famiglia non può certo ridursi alla sola fissazione delle retribuzione, ma deve necessariamente coinvolgere quella che comunemente si definisce conciliazione tra vita familiare e vita professionale: tema cui il Magistero ha sempre prestato attenzione, anche con riferimento alla specificità del lavoro femminile, sostenendo la necessità che le donne non siano obbligate a scegliere tra lavoro e famiglia, circostanza ancora molto comune – come purtroppo provano i dati annualmente elaborati dell’Istat – mostrando come il dettato dell’art. 37 Cost. per cui “le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione” necessiti di una maggiore effettività.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



