I secoli XI e XII sono caratterizzati dalla convocazione di numerosi concili generali presieduti dal pontefice romano: queste assisi sono, nelle intenzioni papali, strumenti per l’applicazione della riforma della chiesa. Attraverso i canoni promulgati la chiesa romana tenta di imporre le sue linee guida per il governo della societas Christiana. Non si tratta, tuttavia, di norme concepite con l’intenzione di un’immediata applicazione: spesso, infatti, gli stessi pontefici che convocano il concilio e che promulgano le costituzioni conciliari non seguono le prescrizioni canoniche e preferiscono adottare le pratiche della dispensatio o dell’aequitas nel rapporto con casi specifici, sebbene nel periodo qui preso in esame la dispensatio non sia ancora stata codificata dai giuristi. Questo tipo di flessibilità nel rapporto norma-prassi è propria del diritto canonico ed è intimamente legata alla sua natura: il fine delle norme ecclesiastiche è infatti la salus animarum e, seguendo questo principio, diventa possibile derogare a quanto prescritto dai canoni. La flessibilità del diritto e la possibilità di sospensione della norma diventano per il papato romano efficaci strumenti di intervento nelle diocesi. Qui sono presi in esame tre casi, Milano, Torino e Genova, comparati poi con quello di Trento, la cui collocazione consente di valutare le differenze di una diocesi più direttamente soggetta alle influenze teutoniche dell’impero. Per ogni diocesi è stato esaminato il rapporto tra la norma e la sua ricaduta in ambito locale – con applicazione o meno della prescrizione canonica – scegliendo di soffermarsi sulla figura del vescovo. Sono state quindi analizzate le costituzioni conciliari che regolamentavano l’azione del presule all’interno della diocesi e le reazioni che gli stessi ordinari diocesani ebbero di fronte al tentativo di imposizione delle linee guida romane. L’analisi dimostra la natura strumentale del diritto dal punto di vista dei pontefici: la produzione della norma, la possibilità e la capacità di sospensione della stessa, diventano mezzi di affermazione del primato romano nei confronti delle realtà diocesane.
Ciccopiedi, C., Governare le diocesi. Assestamenti riformatori in Italia settentrionale fra linee guida conciliari e pratiche vescovili (secoli XI e XII), CISAM Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 2016:<<ISTITUZIONI E SOCIETÀ>>, 368 [https://hdl.handle.net/10807/306896]
Governare le diocesi. Assestamenti riformatori in Italia settentrionale fra linee guida conciliari e pratiche vescovili (secoli XI e XII)
Ciccopiedi, Caterina
2016
Abstract
I secoli XI e XII sono caratterizzati dalla convocazione di numerosi concili generali presieduti dal pontefice romano: queste assisi sono, nelle intenzioni papali, strumenti per l’applicazione della riforma della chiesa. Attraverso i canoni promulgati la chiesa romana tenta di imporre le sue linee guida per il governo della societas Christiana. Non si tratta, tuttavia, di norme concepite con l’intenzione di un’immediata applicazione: spesso, infatti, gli stessi pontefici che convocano il concilio e che promulgano le costituzioni conciliari non seguono le prescrizioni canoniche e preferiscono adottare le pratiche della dispensatio o dell’aequitas nel rapporto con casi specifici, sebbene nel periodo qui preso in esame la dispensatio non sia ancora stata codificata dai giuristi. Questo tipo di flessibilità nel rapporto norma-prassi è propria del diritto canonico ed è intimamente legata alla sua natura: il fine delle norme ecclesiastiche è infatti la salus animarum e, seguendo questo principio, diventa possibile derogare a quanto prescritto dai canoni. La flessibilità del diritto e la possibilità di sospensione della norma diventano per il papato romano efficaci strumenti di intervento nelle diocesi. Qui sono presi in esame tre casi, Milano, Torino e Genova, comparati poi con quello di Trento, la cui collocazione consente di valutare le differenze di una diocesi più direttamente soggetta alle influenze teutoniche dell’impero. Per ogni diocesi è stato esaminato il rapporto tra la norma e la sua ricaduta in ambito locale – con applicazione o meno della prescrizione canonica – scegliendo di soffermarsi sulla figura del vescovo. Sono state quindi analizzate le costituzioni conciliari che regolamentavano l’azione del presule all’interno della diocesi e le reazioni che gli stessi ordinari diocesani ebbero di fronte al tentativo di imposizione delle linee guida romane. L’analisi dimostra la natura strumentale del diritto dal punto di vista dei pontefici: la produzione della norma, la possibilità e la capacità di sospensione della stessa, diventano mezzi di affermazione del primato romano nei confronti delle realtà diocesane.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.