Il rapporto tra cinema e scienza è di antica data: prima ancora che il cinematografo, alla fine del XIX secolo, proiettasse le sue prime immagini in movimento, scienziati e filosofi della scienza come Ernst Mach fantasticavano sulle potenzialità di una fotografia ‘animata’ al servizio della ricerca. La stessa nascita del cinema si lega a doppio filo con la ricerca sulla cosiddetta cronofotografia, lo scatto di immagini istantanee in successione per analizzare il movimento, e già a cavallo del 1900 le discipline scientifiche iniziano a integrare la macchina da presa tra gli strumenti di laboratorio, per filmare studi balistici, operazioni chirurgiche, microscopia e vivisezioni. Il cinema narrativo, dal canto suo, inizia presto a raccontare il sogno della conoscenza scientifica illimitata, a partire dal grande mito del Viaggio nella luna (G. Méliès, 1902). Questo fascino reciproco non si è mai esaurito, e l’attrazione tra la cultura del film e quella scientifica si continua a riflettere anche negli immaginari più contemporanei. In questo contributo proporrò un breve viaggio a ritroso in questa storia, con lo scopo di comprenderne alcune motivazioni fondamentali. Nella prima tappa, a modo di introduzione, ci muoveremo dentro a un caso di studio esemplare e di grande successo nel cinema contemporaneo: Interstellar (2014), il grande affresco fantascientifico di Christopher Nolan che, oltre ad avere ampio spazio nella divulgazione scientifica e nelle curiosità di ogni piattaforma social, è potuto entrare fino nelle aule di lezione come strumento didattico per spiegare quali siano oggi i confini della ricerca (e dell’universo), e per appassionare possibilmente una nuova generazione di studiosi STEM. Su che cosa si basa la potenza comunicativa di un film come Interstellar? Oltre a riconoscere un tributo ai suoi creatori, avanzeremo due ipotesi, che ci porteranno a compiere, nelle due tappe successive, due lunghi passi indietro nel tempo. La prima ipotesi riguarda le logiche narrative del grande cinema di finzione: ripercorrendo due generi fondativi, la fantascienza e il giallo investigativo, in alcuni loro aspetti strutturali, e fino alle loro origini, possiamo immaginare che esista un piacere fondamentale nell’esperienza di visione di un film (o di una grande serie), quello della scoperta, e che facendo leva su questo bisogno di conoscenza del pubblico, su queste forme narrative specializzate, sia possibile raccontare la scienza, quell’episteme cioè che ne condivide lo stesso desiderio originario. Fonderemo questa ipotesi appoggiandoci al dibattito cognitivista contemporaneo sulla comprensione e sull’emozione, ma avre¬mo anche bisogno di un passaggio ulteriore: di una teoria dell’immagine che legittimi questo primo passaggio. La seconda ipotesi riguarda allora lo statuto stesso dell’immagine filmica, di cui proporremo la consanguineità con il pensiero scientifico moderno. Riprendendo un dibattito più ampio, che ha coinvolto la filosofia della tecnica e la storia sociale e culturale della scienza negli ultimi decenni, provando a ragionare sull’impatto della mediatizzazione anche sul pensiero scientifico, ritorneremo, con un’ultima mossa a ritroso, ai pionieri tardo-ottocenteschi e alle origini del cinema. Lo sguardo dell’apparato cinematografico si sovrappone a quello delle scienze sperimentali già in quel momento. La storica della scienza Jimena Canales (2002) ha parlato di un vero e proprio cinematographic turn, una svolta cinematografica del mondo della ricerca, che ha cercato nel neonato dispositivo filmico uno strumento di registrazione del reale e insieme un nuovo criterio di oggettività. Fallendo nella pretesa di una conoscenza ‘positiva’, ma comprendendo e accettando proprio in quel contesto la materialità dell’esperimento e l’inevitabile relatività dei sistemi di osservazione. Qui cercheremo dunque di suggerire che il cinema, in questo senso ultimo, è stato ‘scientifico’ sin dalle sue origini, influenzando lo stesso pensiero positivista da cui scaturirà l’epistemologia moderna, e ha poi portato con sé in tutta la sua storia questo suo imprinting: quelle prime immagini istantanee da cui nasce il cinematografo, centocinquant’anni fa circa, sono il momento in cui si gettano le basi per quello che oggi chiameremmo l’apparato tec¬no-mediale, il sistema di osservazioni e imaging su cui si basa il sistema di sapere contemporaneo (Ihde, 2022).

Locatelli, M., Cinema e scienza: un lungo abbraccio, in Giudice, F. (ed.), Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta, Vita e Pensiero, Milano 2024: 101- 122 [https://hdl.handle.net/10807/305136]

Cinema e scienza: un lungo abbraccio

Locatelli, Massimo
2024

Abstract

Il rapporto tra cinema e scienza è di antica data: prima ancora che il cinematografo, alla fine del XIX secolo, proiettasse le sue prime immagini in movimento, scienziati e filosofi della scienza come Ernst Mach fantasticavano sulle potenzialità di una fotografia ‘animata’ al servizio della ricerca. La stessa nascita del cinema si lega a doppio filo con la ricerca sulla cosiddetta cronofotografia, lo scatto di immagini istantanee in successione per analizzare il movimento, e già a cavallo del 1900 le discipline scientifiche iniziano a integrare la macchina da presa tra gli strumenti di laboratorio, per filmare studi balistici, operazioni chirurgiche, microscopia e vivisezioni. Il cinema narrativo, dal canto suo, inizia presto a raccontare il sogno della conoscenza scientifica illimitata, a partire dal grande mito del Viaggio nella luna (G. Méliès, 1902). Questo fascino reciproco non si è mai esaurito, e l’attrazione tra la cultura del film e quella scientifica si continua a riflettere anche negli immaginari più contemporanei. In questo contributo proporrò un breve viaggio a ritroso in questa storia, con lo scopo di comprenderne alcune motivazioni fondamentali. Nella prima tappa, a modo di introduzione, ci muoveremo dentro a un caso di studio esemplare e di grande successo nel cinema contemporaneo: Interstellar (2014), il grande affresco fantascientifico di Christopher Nolan che, oltre ad avere ampio spazio nella divulgazione scientifica e nelle curiosità di ogni piattaforma social, è potuto entrare fino nelle aule di lezione come strumento didattico per spiegare quali siano oggi i confini della ricerca (e dell’universo), e per appassionare possibilmente una nuova generazione di studiosi STEM. Su che cosa si basa la potenza comunicativa di un film come Interstellar? Oltre a riconoscere un tributo ai suoi creatori, avanzeremo due ipotesi, che ci porteranno a compiere, nelle due tappe successive, due lunghi passi indietro nel tempo. La prima ipotesi riguarda le logiche narrative del grande cinema di finzione: ripercorrendo due generi fondativi, la fantascienza e il giallo investigativo, in alcuni loro aspetti strutturali, e fino alle loro origini, possiamo immaginare che esista un piacere fondamentale nell’esperienza di visione di un film (o di una grande serie), quello della scoperta, e che facendo leva su questo bisogno di conoscenza del pubblico, su queste forme narrative specializzate, sia possibile raccontare la scienza, quell’episteme cioè che ne condivide lo stesso desiderio originario. Fonderemo questa ipotesi appoggiandoci al dibattito cognitivista contemporaneo sulla comprensione e sull’emozione, ma avre¬mo anche bisogno di un passaggio ulteriore: di una teoria dell’immagine che legittimi questo primo passaggio. La seconda ipotesi riguarda allora lo statuto stesso dell’immagine filmica, di cui proporremo la consanguineità con il pensiero scientifico moderno. Riprendendo un dibattito più ampio, che ha coinvolto la filosofia della tecnica e la storia sociale e culturale della scienza negli ultimi decenni, provando a ragionare sull’impatto della mediatizzazione anche sul pensiero scientifico, ritorneremo, con un’ultima mossa a ritroso, ai pionieri tardo-ottocenteschi e alle origini del cinema. Lo sguardo dell’apparato cinematografico si sovrappone a quello delle scienze sperimentali già in quel momento. La storica della scienza Jimena Canales (2002) ha parlato di un vero e proprio cinematographic turn, una svolta cinematografica del mondo della ricerca, che ha cercato nel neonato dispositivo filmico uno strumento di registrazione del reale e insieme un nuovo criterio di oggettività. Fallendo nella pretesa di una conoscenza ‘positiva’, ma comprendendo e accettando proprio in quel contesto la materialità dell’esperimento e l’inevitabile relatività dei sistemi di osservazione. Qui cercheremo dunque di suggerire che il cinema, in questo senso ultimo, è stato ‘scientifico’ sin dalle sue origini, influenzando lo stesso pensiero positivista da cui scaturirà l’epistemologia moderna, e ha poi portato con sé in tutta la sua storia questo suo imprinting: quelle prime immagini istantanee da cui nasce il cinematografo, centocinquant’anni fa circa, sono il momento in cui si gettano le basi per quello che oggi chiameremmo l’apparato tec¬no-mediale, il sistema di osservazioni e imaging su cui si basa il sistema di sapere contemporaneo (Ihde, 2022).
2024
Italiano
Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta
978-88-343-5724-8
Vita e Pensiero
Locatelli, M., Cinema e scienza: un lungo abbraccio, in Giudice, F. (ed.), Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta, Vita e Pensiero, Milano 2024: 101- 122 [https://hdl.handle.net/10807/305136]
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