A livello comunicativo, la recente epidemia di Covid-19 e la relativa circolazione ipertrofica di informazioni scientifiche sulla natura e il trattamento del virus - o infodemia – hanno esposto e reso visibili una serie di vulnerabilità del public understanding of science che sono arrivate, in diverse occasioni e per differenti settori della popolazione, finanche a incrinare il patto di fiducia tra scienza e cittadinanza. Al netto di errori comunicativi veri e propri che pure non sono mancati, ciò cui si è assistito è in realtà un fenomeno segnalato dalla nuova sociologia della scienza fin dagli anni ’80: si tratta della stretta connessione tra una fiducia nella scienza basata su uno scientismo ingenuo e il diffondersi di atteggiamenti di sospetto nei confronti dell’autorevolezza stessa della comunità scientifica. Con la sua sicurezza che l’applicazione rigorosa del metodo scientifico sia in grado di per sé di garantire il raggiungimento di verità stabili, unanimemente accettate e incontrovertibili, lo scientismo ingenuo contribuisce infatti a dar forma a una serie di aspettative irrealistiche nei confronti della scienza e dello statuto del sapere scientifico. Di fronte alla disillusione di tali aspettative è così facile che a subentrare sia un opposto atteggiamento radicalmente scettico, quando non un vero e proprio rifiuto della scienza stessa: è quanto rischia di accadere in particolare in momenti di crisi, sia personali (una malattia di difficile inquadramento in un protocollo rodato di cura, ad esempio) che sociali (come appunto nel caso della pandemia). Tali fasi di crisi rendono infatti visibile il carattere incerto, sistematicamente controverso e permanentemente rivedibile del sapere scientifico nel suo farsi, restituendone un’immagine incompatibile con quella su cui poggia lo scientismo ingenuo. In un vero e proprio circolo vizioso, è per altro proprio quest’ultima immagine della scienza a venire pubblicamente promossa nel tentativo di puntellare l’autorevolezza della scienza sotto contestazione nelle fasi di crisi. Individuare una soluzione a tale contraddizione costituisce oggi la sfida chiave per chi si occupa di comunicazione della scienza e di public understanding of science: si tratta, da una parte, di restituire un’immagine realistica della scienza, delle pratiche di produzione del sapere scientifico e dello statuto parziale, temporaneo e sempre potenzialmente controverso del sapere scientifico stesso; dall’altra, di rifondare su tale immagine il patto di fiducia tra scienza e cittadinanza, evitando di prestare il fianco a uno scetticismo radicale e antiscientifico.
Tosoni, S., Ricotti, A., Scientismo ingenuo e comunicazione della scienza: la lezione dell’infodemia, in Franco Giudic, F. G. (ed.), Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta, Vita e Pensiero, Milano 2024: 53- 68 [https://hdl.handle.net/10807/303097]
Scientismo ingenuo e comunicazione della scienza: la lezione dell’infodemia
Tosoni, Simone;Ricotti, Alessandro
2024
Abstract
A livello comunicativo, la recente epidemia di Covid-19 e la relativa circolazione ipertrofica di informazioni scientifiche sulla natura e il trattamento del virus - o infodemia – hanno esposto e reso visibili una serie di vulnerabilità del public understanding of science che sono arrivate, in diverse occasioni e per differenti settori della popolazione, finanche a incrinare il patto di fiducia tra scienza e cittadinanza. Al netto di errori comunicativi veri e propri che pure non sono mancati, ciò cui si è assistito è in realtà un fenomeno segnalato dalla nuova sociologia della scienza fin dagli anni ’80: si tratta della stretta connessione tra una fiducia nella scienza basata su uno scientismo ingenuo e il diffondersi di atteggiamenti di sospetto nei confronti dell’autorevolezza stessa della comunità scientifica. Con la sua sicurezza che l’applicazione rigorosa del metodo scientifico sia in grado di per sé di garantire il raggiungimento di verità stabili, unanimemente accettate e incontrovertibili, lo scientismo ingenuo contribuisce infatti a dar forma a una serie di aspettative irrealistiche nei confronti della scienza e dello statuto del sapere scientifico. Di fronte alla disillusione di tali aspettative è così facile che a subentrare sia un opposto atteggiamento radicalmente scettico, quando non un vero e proprio rifiuto della scienza stessa: è quanto rischia di accadere in particolare in momenti di crisi, sia personali (una malattia di difficile inquadramento in un protocollo rodato di cura, ad esempio) che sociali (come appunto nel caso della pandemia). Tali fasi di crisi rendono infatti visibile il carattere incerto, sistematicamente controverso e permanentemente rivedibile del sapere scientifico nel suo farsi, restituendone un’immagine incompatibile con quella su cui poggia lo scientismo ingenuo. In un vero e proprio circolo vizioso, è per altro proprio quest’ultima immagine della scienza a venire pubblicamente promossa nel tentativo di puntellare l’autorevolezza della scienza sotto contestazione nelle fasi di crisi. Individuare una soluzione a tale contraddizione costituisce oggi la sfida chiave per chi si occupa di comunicazione della scienza e di public understanding of science: si tratta, da una parte, di restituire un’immagine realistica della scienza, delle pratiche di produzione del sapere scientifico e dello statuto parziale, temporaneo e sempre potenzialmente controverso del sapere scientifico stesso; dall’altra, di rifondare su tale immagine il patto di fiducia tra scienza e cittadinanza, evitando di prestare il fianco a uno scetticismo radicale e antiscientifico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.