«Quanto è triste vivere tra Bessi e Geti / per chi è stato sempre sulla bocca del popolo». Tra il secondo e il terzo anno della sua relegatio sulle rive del Mar Nero (10-11 d. C.), per suscitare la compassione del lettore, Ovidio tratteggia la propria tragica ‘caduta’ assimilandosi a modelli letterari – da Prometeo a Filottete, da Ulisse a Enea – di esilio, condanna e marginalità. Nel drammatizzante racconto dei propri mala (questa la parola che caratterizza il quarto libro dei Tristia), il poeta affronta i temi cruciali dell’inedita situazione: le misteriose cause dell’esilio, uno scenario alienante e deprimente, il matrimonio messo a dura prova dalla lontananza della moglie, amici timorosi di compromettersi con il condannato e nemici che infieriscono, un potere imperiale ostile che, però, potrebbe forse essere indotto alla clemenza con la celebrazione in versi di un trionfo di Tiberio. Nel sentire la vecchiaia che incalza inesorabile e un tempo sempre uguale a sé stesso, tanto da apparire immobile, Ovidio trova sollievo soltanto nell’attività poetica, medicina nel presente e fonte di gloria eterna nel futuro, come rivendicato con orgoglio e polemica nel decimo componimento, grandioso testamento autobiografico e letterario. Attraverso la ricognizione di edizioni e commenti prodotti dall’età umanistica sino a oggi, un aggiornato apparato bibliografico e l’analisi di tutti gli aspetti filologici, linguistico-stilistici e contenutistici del testo ovidiano, questo studio mette in luce l’attraente complessità di un’opera che ha superato i mutamenti del gusto ed è oggi restituita al suo pieno valore di universale poesia dell’esilio.
Gatti, F., Ovidio, Tristia 4, Edizioni Dell'Orso, Alessandria 2022: 586 [https://hdl.handle.net/10807/299749]
Ovidio, Tristia 4
Gatti, Fabio
2022
Abstract
«Quanto è triste vivere tra Bessi e Geti / per chi è stato sempre sulla bocca del popolo». Tra il secondo e il terzo anno della sua relegatio sulle rive del Mar Nero (10-11 d. C.), per suscitare la compassione del lettore, Ovidio tratteggia la propria tragica ‘caduta’ assimilandosi a modelli letterari – da Prometeo a Filottete, da Ulisse a Enea – di esilio, condanna e marginalità. Nel drammatizzante racconto dei propri mala (questa la parola che caratterizza il quarto libro dei Tristia), il poeta affronta i temi cruciali dell’inedita situazione: le misteriose cause dell’esilio, uno scenario alienante e deprimente, il matrimonio messo a dura prova dalla lontananza della moglie, amici timorosi di compromettersi con il condannato e nemici che infieriscono, un potere imperiale ostile che, però, potrebbe forse essere indotto alla clemenza con la celebrazione in versi di un trionfo di Tiberio. Nel sentire la vecchiaia che incalza inesorabile e un tempo sempre uguale a sé stesso, tanto da apparire immobile, Ovidio trova sollievo soltanto nell’attività poetica, medicina nel presente e fonte di gloria eterna nel futuro, come rivendicato con orgoglio e polemica nel decimo componimento, grandioso testamento autobiografico e letterario. Attraverso la ricognizione di edizioni e commenti prodotti dall’età umanistica sino a oggi, un aggiornato apparato bibliografico e l’analisi di tutti gli aspetti filologici, linguistico-stilistici e contenutistici del testo ovidiano, questo studio mette in luce l’attraente complessità di un’opera che ha superato i mutamenti del gusto ed è oggi restituita al suo pieno valore di universale poesia dell’esilio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.