«La Geografia ha a che fare con il potere». Essa non è innocente, non è un prodotto della natura e non può essere neutrale. In quanto rappresentazione di una realtà percepita, osservata e, in molti casi, modellata a proprio uso e consumo, la geografia – e ancor di più la geopolitica – riflette la competizione per il potere tra attori diversi. In questo senso, riprendendo l’analisi di Gearóid O’Tuathail, ogni rappresentazione del mondo è, per forza di cose, “politica”, quindi parziale, e tende a riflettere gli schemi mentali, le prospettive, la storia e gli interessi di chi si appresta a re-immaginare il mondo e le sue dinamiche di potere. In un contesto caratterizzato da una crescente complessità e da una sempre più marcata interdipendenza, queste ultime non possono essere considerate come esclusivo appannaggio degli stati. Al contrario, è ormai ampiamente riconosciuto che protagoniste della geopolitica sono tanto realtà attive sul piano “macro” (organizzazioni internazionali, multinazionali, realtà non-statuali di varia natura e dimensioni e, ovviamente, stati), quanto soggetti operanti su un piano intra-statuale o, addirittura, intra-regionale (come nel caso di movimenti indipendentisti, formazioni secessioniste, gruppi irredentisti o comunità locali latrici di specifiche istanze). Per usare le parole di uno dei padri della “rinascita” della geopolitica contemporanea, essa si riferisce «tout ce qui concerne les rivalités de pouvoirs ou d'influence sur des territoires et les populations qui y vivent : rivalités entre des pouvoirs politiques de toutes sortes – et pas seulement entre des États, mais aussi entre des mouvements politiques ou des groupes armés plus ou moins clandestins –, rivalités pour le contrôle ou la domination de territoires de grande ou de petite taille» . Per quanto a lungo presentata (e tutt’ora da molti percepita o millantata) come una scienza basata su regole universali, la geopolitica rimane una disciplina figlia del suo tempo (o, meglio, dei suoi tempi, vista la profonda evoluzione che l’ha caratterizzata a partire dalla fine del XIX secolo) e dello “sguardo” dei suoi autori; una disciplina che, guardando al passato, mira a delineare la possibile evoluzione del sistema-mondo e, soprattutto, a proporre determinate linee di azione per influenzarne le dinamiche future. Essa è, quindi, inevitabilmente fondata su rappresentazioni soggettive e non neutrali che si dipanano su più livelli e che sono figlie di percezioni e punti di vista legati alla difesa di interessi concreti. Non solo, pur avendo da sempre come dimensione di analisi privilegiata la competizione su determinati spazi fisici, essa ha col tempo finito con l’abbracciare ambiti di analisi sempre più ampli che per lungo tempo sono rimasti impliciti nella discussione geopolitica, come ben dimostrato dal rinnovato interesse per le dinamiche locali e identitarie e dalla cosiddetta “geopolitica delle emozioni”, che ha avuto in Dominique Moïsi il suo principale esponente . In questo contesto, le parole di Michel Foucher acquisiscono un peso specifico particolarmente significativo: «Geopolitics studies the relationships between political issues and territorial issues, not simply between power and geographical space. This definition is broader than just analysing territorial rivalries. It is essential that we appreciate the importance of representations and perceptions, i.e. that of mental maps. I prefer the kind of geography in which descriptions of local realities and interactions are accompanied by critiques of the producers of mental maps bound up with political projects that are not only time-bound but are also (they too) territorialized» . Muovendo da questi assunti, il presente volume mira a dar vita a una rappresentazione di alcune delle dinamiche geopolitiche più significative della presente fase storica. Prendendo spunto dal ciclo di incontri tenutisi in tutta Italia tra 2018 e 2019 (cfr. Appendice 1) per celebrare i dieci anni di attività del Centro Studi Internazionali di Geopolitica (Ce.St.In.Geo. - https://cestingeo.org/), esso si pone l’obiettivo di guardare al sistema-mondo nel suo complesso e di ragionare sulle specificità di una delle sue regioni più complesse e geopoliticamente rilevanti: quella mediorientale. È questa la ragione che ci ha spinto a dividere la presente analisi in due parti distinte per quanto fortemente interconnesse. Il primo modulo guarda all’evoluzione dello scenario geopolitico contemporaneo. Il secondo modulo è dedicato al cosiddetto “arco di crisi mediorientale”.
Plebani, A., Redaelli, R., Introduzione, in Plebani, A., Redaelli, R. (ed.), Dinamiche geopolitiche contemporanee. Ce.St.In.Geo. geopolitical outlook 2020, EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica, MILANO -- ITA 2020: 7- 11 [https://hdl.handle.net/10807/284040]
Introduzione
Plebani, Andrea;Redaelli, Riccardo
2020
Abstract
«La Geografia ha a che fare con il potere». Essa non è innocente, non è un prodotto della natura e non può essere neutrale. In quanto rappresentazione di una realtà percepita, osservata e, in molti casi, modellata a proprio uso e consumo, la geografia – e ancor di più la geopolitica – riflette la competizione per il potere tra attori diversi. In questo senso, riprendendo l’analisi di Gearóid O’Tuathail, ogni rappresentazione del mondo è, per forza di cose, “politica”, quindi parziale, e tende a riflettere gli schemi mentali, le prospettive, la storia e gli interessi di chi si appresta a re-immaginare il mondo e le sue dinamiche di potere. In un contesto caratterizzato da una crescente complessità e da una sempre più marcata interdipendenza, queste ultime non possono essere considerate come esclusivo appannaggio degli stati. Al contrario, è ormai ampiamente riconosciuto che protagoniste della geopolitica sono tanto realtà attive sul piano “macro” (organizzazioni internazionali, multinazionali, realtà non-statuali di varia natura e dimensioni e, ovviamente, stati), quanto soggetti operanti su un piano intra-statuale o, addirittura, intra-regionale (come nel caso di movimenti indipendentisti, formazioni secessioniste, gruppi irredentisti o comunità locali latrici di specifiche istanze). Per usare le parole di uno dei padri della “rinascita” della geopolitica contemporanea, essa si riferisce «tout ce qui concerne les rivalités de pouvoirs ou d'influence sur des territoires et les populations qui y vivent : rivalités entre des pouvoirs politiques de toutes sortes – et pas seulement entre des États, mais aussi entre des mouvements politiques ou des groupes armés plus ou moins clandestins –, rivalités pour le contrôle ou la domination de territoires de grande ou de petite taille» . Per quanto a lungo presentata (e tutt’ora da molti percepita o millantata) come una scienza basata su regole universali, la geopolitica rimane una disciplina figlia del suo tempo (o, meglio, dei suoi tempi, vista la profonda evoluzione che l’ha caratterizzata a partire dalla fine del XIX secolo) e dello “sguardo” dei suoi autori; una disciplina che, guardando al passato, mira a delineare la possibile evoluzione del sistema-mondo e, soprattutto, a proporre determinate linee di azione per influenzarne le dinamiche future. Essa è, quindi, inevitabilmente fondata su rappresentazioni soggettive e non neutrali che si dipanano su più livelli e che sono figlie di percezioni e punti di vista legati alla difesa di interessi concreti. Non solo, pur avendo da sempre come dimensione di analisi privilegiata la competizione su determinati spazi fisici, essa ha col tempo finito con l’abbracciare ambiti di analisi sempre più ampli che per lungo tempo sono rimasti impliciti nella discussione geopolitica, come ben dimostrato dal rinnovato interesse per le dinamiche locali e identitarie e dalla cosiddetta “geopolitica delle emozioni”, che ha avuto in Dominique Moïsi il suo principale esponente . In questo contesto, le parole di Michel Foucher acquisiscono un peso specifico particolarmente significativo: «Geopolitics studies the relationships between political issues and territorial issues, not simply between power and geographical space. This definition is broader than just analysing territorial rivalries. It is essential that we appreciate the importance of representations and perceptions, i.e. that of mental maps. I prefer the kind of geography in which descriptions of local realities and interactions are accompanied by critiques of the producers of mental maps bound up with political projects that are not only time-bound but are also (they too) territorialized» . Muovendo da questi assunti, il presente volume mira a dar vita a una rappresentazione di alcune delle dinamiche geopolitiche più significative della presente fase storica. Prendendo spunto dal ciclo di incontri tenutisi in tutta Italia tra 2018 e 2019 (cfr. Appendice 1) per celebrare i dieci anni di attività del Centro Studi Internazionali di Geopolitica (Ce.St.In.Geo. - https://cestingeo.org/), esso si pone l’obiettivo di guardare al sistema-mondo nel suo complesso e di ragionare sulle specificità di una delle sue regioni più complesse e geopoliticamente rilevanti: quella mediorientale. È questa la ragione che ci ha spinto a dividere la presente analisi in due parti distinte per quanto fortemente interconnesse. Il primo modulo guarda all’evoluzione dello scenario geopolitico contemporaneo. Il secondo modulo è dedicato al cosiddetto “arco di crisi mediorientale”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.