Maresa Sbarra e Silvio Premoli raccontano con commozio- ne la loro esperienza di affido, sottolineando a loro volta il desi- derio di “far fruttare lo spazio della loro casa”. Non nascondo- no la gioia per la relazione che si è creata, né le difficoltà incon- trate, né il dolore di alcune tappe, né il risentimento che talvolta hanno provato nei confronti dei servizi sociali. Non c’è dunque alcuna idealizzazione in questa “esperienza totale” di accogliere in famiglia per tre anni e mezzo una ragazza africana orfana di 17 anni, ma non ci sono nemmeno rimpianti. Il diario ricorda che il figlio di tre anni trovò le parole giuste e affettuose per dir- le che era “il suo fratellino”, mentre la madre non poteva dire di essere “la sua mamma”, perché era solo “La mamma” della famiglia. Grazie alle spiegazioni chiare e costanti dei genitori, a questo bambino è stato risparmiato il peso dell’affido. I tipici conflitti dell’adolescenza animati dalla volontà di conquistare un’autonomia sono stati poi violenti, resi ancora più dolorosi da entrambe le parti dal fatto che si sono verificati durante la gra- vidanza di Maresa. Sebbene sia chiaro che i genitori accoglienti vengono “messi alla prova” per verificare l’autenticità del loro affetto, questi episodi rimangono in ogni caso dolorosi. Alla fine, però, si prova un sentimento di immensa gratitudine. Sette anni dopo, la giovane donna scrive: «L’affido per me è stata una salvezza». Inoltre è chiaro che la differenza di età tra la giovane donna e i figli della coppia è stata un fattore di successo.
Sbarra, M., Premoli, S., IL NOSTRO AFFIDO FAMILIARE. L’inizio e la (non) fine., in Chiodi M., S. M., Adottare e accogliere una sfIda per la socIetà e le famiglie, Studium, Roma 2024 2024: 111-132 [https://hdl.handle.net/10807/275676]
IL NOSTRO AFFIDO FAMILIARE. L’inizio e la (non) fine.
Premoli, Silvio
2024
Abstract
Maresa Sbarra e Silvio Premoli raccontano con commozio- ne la loro esperienza di affido, sottolineando a loro volta il desi- derio di “far fruttare lo spazio della loro casa”. Non nascondo- no la gioia per la relazione che si è creata, né le difficoltà incon- trate, né il dolore di alcune tappe, né il risentimento che talvolta hanno provato nei confronti dei servizi sociali. Non c’è dunque alcuna idealizzazione in questa “esperienza totale” di accogliere in famiglia per tre anni e mezzo una ragazza africana orfana di 17 anni, ma non ci sono nemmeno rimpianti. Il diario ricorda che il figlio di tre anni trovò le parole giuste e affettuose per dir- le che era “il suo fratellino”, mentre la madre non poteva dire di essere “la sua mamma”, perché era solo “La mamma” della famiglia. Grazie alle spiegazioni chiare e costanti dei genitori, a questo bambino è stato risparmiato il peso dell’affido. I tipici conflitti dell’adolescenza animati dalla volontà di conquistare un’autonomia sono stati poi violenti, resi ancora più dolorosi da entrambe le parti dal fatto che si sono verificati durante la gra- vidanza di Maresa. Sebbene sia chiaro che i genitori accoglienti vengono “messi alla prova” per verificare l’autenticità del loro affetto, questi episodi rimangono in ogni caso dolorosi. Alla fine, però, si prova un sentimento di immensa gratitudine. Sette anni dopo, la giovane donna scrive: «L’affido per me è stata una salvezza». Inoltre è chiaro che la differenza di età tra la giovane donna e i figli della coppia è stata un fattore di successo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.