Nella notte tra il 9 e il 10 marzo 2003 la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America lanciava una massiccia offensiva control l’Iraq. Il timore che Baghdad potesse contare su un programma di armi di distruzione di massa attivo e fosse in diretto contatto con l’organizzazione jihadista di al-Qa‘ida furono cruciali per sancire il varo dell’operazione “Iraqi Freedom”. In un contesto ancora pesantemente segnato dalla vivida memoria degli attentati dell’11 settembre 2001, le accuse mosse al regime ba thista furono sufficienti per superare l’opposizione di un’ampia parte della comunità internazionale e spingere Washington a dar via alle operazioni militari, pur in assenza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzasse formalmente l’intervento. A cavallo tra 2002 e 2003, però, il fattore tempo appariva determinante e l’amministrazione Bush si dimostrò inflessibile nel voler eliminare alla radice una minaccia considerata esiziale, anche a costo di rompere l’apparente unità di un consesso internazionale che solo pochi mesi prima si era erto compatto a sostegno dell’offensiva lanciata contro il regime Taliban in Afghanistan. Come appurato dall’inchiesta condotta da Sir John Anthony Chilcot per conto del governo britannico oltre che dalla pubblicistica e da alcuni dei protagonisti della scena politica dell’epoca , l’intero impianto accusatorio elaborato dall’amministrazione Bush si sarebbe rivelato infondato e costruito sulla base di informazioni di intelligence palesemente errate o distorte. Una pagina oscura della storia recente che ha finito col macchiare in maniera indelebile l’immagine di Washington e di buona parte del mondo occidentale agli occhi di intere popolazioni all’interno della regione mediorientale e oltre. Eppure, Iraqi Freedom non è stata solo questo. Se sin dal principio la volontà di porre fine alla minaccia che Saddam costituiva per gli Stati Uniti e i loro alleati ha rappresentato una parte centrale delle motivazioni, altrettanto importante era la volontà di addivenire a un cambio di regime in grado di modificare le sorti della terra dei due fiumi e dell’intero arco mediorientale.
Plebani, A., Introduzione, in Plebani, A. (ed.), Dinamiche Geopolitiche Contemporanee. Ce.St.In.Geo. geopolitical outlook 2023, EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica, MILANO -- ITA 2023: 7- 13 [https://hdl.handle.net/10807/271365]
Introduzione
Plebani, Andrea
2023
Abstract
Nella notte tra il 9 e il 10 marzo 2003 la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America lanciava una massiccia offensiva control l’Iraq. Il timore che Baghdad potesse contare su un programma di armi di distruzione di massa attivo e fosse in diretto contatto con l’organizzazione jihadista di al-Qa‘ida furono cruciali per sancire il varo dell’operazione “Iraqi Freedom”. In un contesto ancora pesantemente segnato dalla vivida memoria degli attentati dell’11 settembre 2001, le accuse mosse al regime ba thista furono sufficienti per superare l’opposizione di un’ampia parte della comunità internazionale e spingere Washington a dar via alle operazioni militari, pur in assenza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzasse formalmente l’intervento. A cavallo tra 2002 e 2003, però, il fattore tempo appariva determinante e l’amministrazione Bush si dimostrò inflessibile nel voler eliminare alla radice una minaccia considerata esiziale, anche a costo di rompere l’apparente unità di un consesso internazionale che solo pochi mesi prima si era erto compatto a sostegno dell’offensiva lanciata contro il regime Taliban in Afghanistan. Come appurato dall’inchiesta condotta da Sir John Anthony Chilcot per conto del governo britannico oltre che dalla pubblicistica e da alcuni dei protagonisti della scena politica dell’epoca , l’intero impianto accusatorio elaborato dall’amministrazione Bush si sarebbe rivelato infondato e costruito sulla base di informazioni di intelligence palesemente errate o distorte. Una pagina oscura della storia recente che ha finito col macchiare in maniera indelebile l’immagine di Washington e di buona parte del mondo occidentale agli occhi di intere popolazioni all’interno della regione mediorientale e oltre. Eppure, Iraqi Freedom non è stata solo questo. Se sin dal principio la volontà di porre fine alla minaccia che Saddam costituiva per gli Stati Uniti e i loro alleati ha rappresentato una parte centrale delle motivazioni, altrettanto importante era la volontà di addivenire a un cambio di regime in grado di modificare le sorti della terra dei due fiumi e dell’intero arco mediorientale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.