Da sempre l’istruzione riflette le iniquità sociali che caratterizzano i generi e il loro accesso al reale. Istruire significa “fornire strutture”, cioè contribuire alla costruzione delle conoscenze e delle competenze che consentono al soggetto di realizzare il proprio potenziale evolutivo e partecipare allo sviluppo collettivo. L’istruzione fornisce insegnamenti strutturati propedeutici ad ulteriori acquisizioni, con cui chi apprende consegue gradi via via maggiori di consapevolezza, libertà, autodeterminazione, partecipa del progresso culturale e si prepara ad una cittadinanza attiva e responsabile. Così intesa l’istruzione è una funzione a cui concorre non solo la scuola, ma anche tutti quei contesti educativi e formativi necessari ad abitare la vita con senso, sostenuta dall’elaborazione di un pensiero critico relativo alle differenze tra i soggetti. Alla luce di queste considerazioni il contributo intende focalizzare l’attenzione su una concezione di istruzione che non riguarda soltanto l’accesso ai saperi disciplinari, ma comprende una lettura problematizzante dei modi con cui la cultura interpreta le differenze di genere, lettura che trova nelle comunità residenziali per minori un contesto di riflessione e ricerca particolarmente cruciale e interessante. In quei contesti infatti educatrici e educatori assolvono a funzioni genitoriali, proponendo modi di essere ascrivibili al materno o al paterno. Ma che relazione esiste tra il genere e la maternità/paternità? È possibile per un educatore essere materno e per un’educatrice interpretare funzioni e atteggiamenti storicamente ascritti al maschile e alla paternità? L’articolo intende esplorare queste connessioni e riferire l’esperienza di una Comunità per minori stranieri non accompagnati in cui sono presenti solo ragazzi ed educatori, all’interno della quale l’arrivo di una educatrice ha indotto a problematizzare atteggiamenti storicamente riferiti al maschile o al femminile in modo predefinito ed esclusivo. È emerso così che esercitare la funzione “ostetrica” - storicamente femminile - o “normativa” - storicamente maschile – è frutto di un processo che chiama in causa la libertà, la consapevolezza, l’intenzionalità delle figure educative impegnate nell’ascolto impregiudicato, nel rispetto e nell’apertura verso possibilità realizzative del soggetto in crescita. Educatori e educatrici hanno e mostrano lati o atteggiamenti più maschili o più femminili indipendentemente dal genere. E questo legittima ragazzi e ragazze a socializzare ed agire il loro lato femminile o maschile indipendentemente dal sesso. Da questa prospettiva possono scaturire nuove comprensioni non solo concettuali, ma che lasciano sperare in forme più rispettose di convivenza tra soggetti, con cui sgretolare, forse, ideologie divisive, discriminanti e persino violente, come la cronaca purtroppo continuamente mostra.
Musi, E., Prarolo, M., Coltivare la pluralità dei generi in una comunità educativa maschile, in Borruso F, B. F., Gallelli R, G. R., Seveso G, S. G. (ed.), Dai saperi negati alle avventure della conoscenza. Esclusione ed emancipazione delle donne nei percorsi educativi fra storia e attualità, UNICOPLI, Milano 2022: 1 229- 246 [https://hdl.handle.net/10807/230094]
Coltivare la pluralità dei generi in una comunità educativa maschile
Musi, Elisabetta;
2022
Abstract
Da sempre l’istruzione riflette le iniquità sociali che caratterizzano i generi e il loro accesso al reale. Istruire significa “fornire strutture”, cioè contribuire alla costruzione delle conoscenze e delle competenze che consentono al soggetto di realizzare il proprio potenziale evolutivo e partecipare allo sviluppo collettivo. L’istruzione fornisce insegnamenti strutturati propedeutici ad ulteriori acquisizioni, con cui chi apprende consegue gradi via via maggiori di consapevolezza, libertà, autodeterminazione, partecipa del progresso culturale e si prepara ad una cittadinanza attiva e responsabile. Così intesa l’istruzione è una funzione a cui concorre non solo la scuola, ma anche tutti quei contesti educativi e formativi necessari ad abitare la vita con senso, sostenuta dall’elaborazione di un pensiero critico relativo alle differenze tra i soggetti. Alla luce di queste considerazioni il contributo intende focalizzare l’attenzione su una concezione di istruzione che non riguarda soltanto l’accesso ai saperi disciplinari, ma comprende una lettura problematizzante dei modi con cui la cultura interpreta le differenze di genere, lettura che trova nelle comunità residenziali per minori un contesto di riflessione e ricerca particolarmente cruciale e interessante. In quei contesti infatti educatrici e educatori assolvono a funzioni genitoriali, proponendo modi di essere ascrivibili al materno o al paterno. Ma che relazione esiste tra il genere e la maternità/paternità? È possibile per un educatore essere materno e per un’educatrice interpretare funzioni e atteggiamenti storicamente ascritti al maschile e alla paternità? L’articolo intende esplorare queste connessioni e riferire l’esperienza di una Comunità per minori stranieri non accompagnati in cui sono presenti solo ragazzi ed educatori, all’interno della quale l’arrivo di una educatrice ha indotto a problematizzare atteggiamenti storicamente riferiti al maschile o al femminile in modo predefinito ed esclusivo. È emerso così che esercitare la funzione “ostetrica” - storicamente femminile - o “normativa” - storicamente maschile – è frutto di un processo che chiama in causa la libertà, la consapevolezza, l’intenzionalità delle figure educative impegnate nell’ascolto impregiudicato, nel rispetto e nell’apertura verso possibilità realizzative del soggetto in crescita. Educatori e educatrici hanno e mostrano lati o atteggiamenti più maschili o più femminili indipendentemente dal genere. E questo legittima ragazzi e ragazze a socializzare ed agire il loro lato femminile o maschile indipendentemente dal sesso. Da questa prospettiva possono scaturire nuove comprensioni non solo concettuali, ma che lasciano sperare in forme più rispettose di convivenza tra soggetti, con cui sgretolare, forse, ideologie divisive, discriminanti e persino violente, come la cronaca purtroppo continuamente mostra.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.