La persona è frutto di relazioni interpersonali, intergenerazionali e sociali; le sue diverse posizioni identitarie sono frutto del suo “essere in relazione”, come figlio, coniuge, genitore, membro di una comunità professionale. L’uomo è l’essere relazionale per eccellenza e la capacità di relazione è l’abilità che ne definisce l’umanità. La relazionalità dell’umano ne rivela anche la sua fondante natura storica e intergenerazionale, rimandando a un legame che precede e dà significato all’interazione: la storia comune e i legami, fondati sul passato e proiettati nel futuro. Anche la promozione e la cura della salute devono tenere conto di questa complessità e dell’identità relazionale della persona. La medicina personalizzata comporta una svolta antropologica: prendersi cura della persona significa tener conto dell’intreccio di legami che l’incontro di persone sulla scena della cura comporta, prima di tutto la relazione medico-paziente, ma anche tra medico e caregiver / famiglia del paziente e tra medico e i suoi contesti relazionali. Il benessere di tutte le persone in gioco è legato alla consapevolezza che esse sono tutte soggetti relazionali: star bene e far star bene comporta la presa in carico del benessere delle relazioni sia del curato che del curante. Solo il riconoscimento della comune umanità e fragilità favorirà la responsabilità reciproca, superando dinamiche disfunzionali tra medico e paziente. Rispondere ai bisogni della persona significa accoglierla e curarla nella sua identità relazionale e complessa, inserendola nei suoi contesti e nelle sue appartenenze. La presa in carico personalizzata richiede competenze che si esercitano nelle interazioni quotidiane e nello scambio: la competenza comunicativa, la gestione del conflitto, l’attivazione di risposte di coping. Personalizzare la cura significa lavorare sulle competenze interattive per arrivare al cuore identitario delle relazioni, laddove la persona è più fragile e il contatto con la sofferenza può avere un effetto difensivo disumanizzante nell’operatore sanitario. I risultati delle ricerche evidenziano come il processo di cura sia un dialogo tra due mondi relazionali, socialmente e culturalmente situati, in cui ciascun soggetto (operatore sanitario, paziente o caregiver) è portatore al contempo di risorse e di bisogni. Occorre dunque prevedere interventi a sostegno di tutti i soggetti coinvolti e della rete alla quale appartengono. Con un bagaglio quasi ventennale di percorsi di enrichment familiare, un’équipe del centro di ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica sta implementando i percorsi di enrichment nei contesti di cura: una forma di intervento breve, con una modalità di lavoro semi-strutturata, per promuovere nei caregiver familiari e nel personale sanitario maggiore benessere ed empowerment, nuove competenze relazionali e professionali e di facilitare un nuovo modo di considerare il proprio ruolo nel processo di cura. Questi percorsi mirano a pro-muovere il “saper fare” e il “saper essere”, migliorando le capacità relazionali e professionali, per potenziare e arricchire le competenze, e proponendo un lavoro di riconoscimento identitario della persona e dei suoi bisogni più profondi, al di là del ruolo di cura assunto.
Iafrate, R., Bertoni, A. M. M., Relazionalità e relazioni, in Anelli, F., Cesario, A., D’Oria, M., Giuliodori, C., Scambia, G. (ed.), Persona e medicina. Sinergie sistemiche per la medicina personalizzata, FrancoAngeli, Milano 2021: 106- 117 [http://hdl.handle.net/10807/205301]
Relazionalità e relazioni
Iafrate, Raffaella;Bertoni, Anna Marta Maria
2021
Abstract
La persona è frutto di relazioni interpersonali, intergenerazionali e sociali; le sue diverse posizioni identitarie sono frutto del suo “essere in relazione”, come figlio, coniuge, genitore, membro di una comunità professionale. L’uomo è l’essere relazionale per eccellenza e la capacità di relazione è l’abilità che ne definisce l’umanità. La relazionalità dell’umano ne rivela anche la sua fondante natura storica e intergenerazionale, rimandando a un legame che precede e dà significato all’interazione: la storia comune e i legami, fondati sul passato e proiettati nel futuro. Anche la promozione e la cura della salute devono tenere conto di questa complessità e dell’identità relazionale della persona. La medicina personalizzata comporta una svolta antropologica: prendersi cura della persona significa tener conto dell’intreccio di legami che l’incontro di persone sulla scena della cura comporta, prima di tutto la relazione medico-paziente, ma anche tra medico e caregiver / famiglia del paziente e tra medico e i suoi contesti relazionali. Il benessere di tutte le persone in gioco è legato alla consapevolezza che esse sono tutte soggetti relazionali: star bene e far star bene comporta la presa in carico del benessere delle relazioni sia del curato che del curante. Solo il riconoscimento della comune umanità e fragilità favorirà la responsabilità reciproca, superando dinamiche disfunzionali tra medico e paziente. Rispondere ai bisogni della persona significa accoglierla e curarla nella sua identità relazionale e complessa, inserendola nei suoi contesti e nelle sue appartenenze. La presa in carico personalizzata richiede competenze che si esercitano nelle interazioni quotidiane e nello scambio: la competenza comunicativa, la gestione del conflitto, l’attivazione di risposte di coping. Personalizzare la cura significa lavorare sulle competenze interattive per arrivare al cuore identitario delle relazioni, laddove la persona è più fragile e il contatto con la sofferenza può avere un effetto difensivo disumanizzante nell’operatore sanitario. I risultati delle ricerche evidenziano come il processo di cura sia un dialogo tra due mondi relazionali, socialmente e culturalmente situati, in cui ciascun soggetto (operatore sanitario, paziente o caregiver) è portatore al contempo di risorse e di bisogni. Occorre dunque prevedere interventi a sostegno di tutti i soggetti coinvolti e della rete alla quale appartengono. Con un bagaglio quasi ventennale di percorsi di enrichment familiare, un’équipe del centro di ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica sta implementando i percorsi di enrichment nei contesti di cura: una forma di intervento breve, con una modalità di lavoro semi-strutturata, per promuovere nei caregiver familiari e nel personale sanitario maggiore benessere ed empowerment, nuove competenze relazionali e professionali e di facilitare un nuovo modo di considerare il proprio ruolo nel processo di cura. Questi percorsi mirano a pro-muovere il “saper fare” e il “saper essere”, migliorando le capacità relazionali e professionali, per potenziare e arricchire le competenze, e proponendo un lavoro di riconoscimento identitario della persona e dei suoi bisogni più profondi, al di là del ruolo di cura assunto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.