Secondo Ricoeur il male non è un problema che “sta di fronte” e va risolto, bensì una “sfida” che interpella e coinvolge. Non si tratta dunque di trovare soluzioni, ma di tentare delle risposte. La rilettura di alcuni passaggi del libro biblico di Giobbe consente di entrare in questa dinamica e di pervenire a uno stadio di pensiero in cui di fronte alla tragedia diventa possibile ancora filosofare, superando le categorie metafisiche della teodicea (gli “amici di Giobbe”) e arrivando a un pensiero caratterizzato dal decentramento del Cogito narcisista, dall’identità narrativa di un sé ferito che acconsente al proprio limite, dal ruolo della creatività come risorsa per aprire nuove possibilità di pensiero. Giobbe passa così da una conoscenza «per sentito dire» al «vedere Dio». È all’interno di queste prospettiva che si colloca la fede tragica, gratuita che vive dell’inverificabile. La religione metafisica deve cedere il passo a una fede che supera la visione etica/retributiva del male, abbraccia il consenso attivo di Cristo, perviene a una saggezza radicata nella figura simbolica del servo sofferente che offre la vita prima che gli sia tolta. Cercando così di rispondere alla sfida del male e di Dio l’orizzonte si apre in termini più ampi e coinvolge lo statuto della razionalità. Poiché Dio non è solo un’idea, ma interpella la vita, si tratta di mettere in campo un “pensare altrimenti” che metta in sinergia pensare, agire e sentire, superi le rigidità del pensiero positivistico e formale, per approdare a una razionalità aperta e integrale che non si riduca al piano puramente teoretico-speculativo, ma abbracci in tensione dialettica la globalità dell’umano. Qui il rifiuto kantiano della teodicea si coniuga con l’apertura oltre il «pensiero euclideo» avanzata da Dostoevskij e con l’«ermeneutica del mito» di Pareyson lettore di Schelling. Lo scandalo del male di fronte a Dio può diventare così non l’invito a pensare meno (o a pensare ad altro), ma «una provocazione a pensare di più, addirittura a pensare altrimenti».

Cinquetti, M., Dio e il male. Con (e oltre) Ricoeur dalla teodicea alla "ragione integrale", in Bertini, D., Salmeri, G., Trianni, P. (ed.), Teologia dell'esperienza, Nuova Cultura, Roma 2010: 297- 323 [http://hdl.handle.net/10807/187945]

Dio e il male. Con (e oltre) Ricoeur dalla teodicea alla "ragione integrale"

Cinquetti, Mauro
Primo
2010

Abstract

Secondo Ricoeur il male non è un problema che “sta di fronte” e va risolto, bensì una “sfida” che interpella e coinvolge. Non si tratta dunque di trovare soluzioni, ma di tentare delle risposte. La rilettura di alcuni passaggi del libro biblico di Giobbe consente di entrare in questa dinamica e di pervenire a uno stadio di pensiero in cui di fronte alla tragedia diventa possibile ancora filosofare, superando le categorie metafisiche della teodicea (gli “amici di Giobbe”) e arrivando a un pensiero caratterizzato dal decentramento del Cogito narcisista, dall’identità narrativa di un sé ferito che acconsente al proprio limite, dal ruolo della creatività come risorsa per aprire nuove possibilità di pensiero. Giobbe passa così da una conoscenza «per sentito dire» al «vedere Dio». È all’interno di queste prospettiva che si colloca la fede tragica, gratuita che vive dell’inverificabile. La religione metafisica deve cedere il passo a una fede che supera la visione etica/retributiva del male, abbraccia il consenso attivo di Cristo, perviene a una saggezza radicata nella figura simbolica del servo sofferente che offre la vita prima che gli sia tolta. Cercando così di rispondere alla sfida del male e di Dio l’orizzonte si apre in termini più ampi e coinvolge lo statuto della razionalità. Poiché Dio non è solo un’idea, ma interpella la vita, si tratta di mettere in campo un “pensare altrimenti” che metta in sinergia pensare, agire e sentire, superi le rigidità del pensiero positivistico e formale, per approdare a una razionalità aperta e integrale che non si riduca al piano puramente teoretico-speculativo, ma abbracci in tensione dialettica la globalità dell’umano. Qui il rifiuto kantiano della teodicea si coniuga con l’apertura oltre il «pensiero euclideo» avanzata da Dostoevskij e con l’«ermeneutica del mito» di Pareyson lettore di Schelling. Lo scandalo del male di fronte a Dio può diventare così non l’invito a pensare meno (o a pensare ad altro), ma «una provocazione a pensare di più, addirittura a pensare altrimenti».
2010
Italiano
Teologia dell'esperienza
9788861345478
Nuova Cultura
Cinquetti, M., Dio e il male. Con (e oltre) Ricoeur dalla teodicea alla "ragione integrale", in Bertini, D., Salmeri, G., Trianni, P. (ed.), Teologia dell'esperienza, Nuova Cultura, Roma 2010: 297- 323 [http://hdl.handle.net/10807/187945]
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