Quando la notte dell’11 novembre 1561 lo scoppio di una mina rase al suolo il convento domenicano dei Santi Stefano e Domenico in Bergamo, uno dei maggiori centri culturali dell’Italia cinquecentesca scomparve per sempre. Solo un decennio prima, nel 1550, l’umanista Leandro Alberti nella sua Descrittione di tutta Italia ne aveva elogiato la biblioteca – «da annoverare fra le prime librarie d’Europa» – e, negli anni che precedettero la distruzione, la vita della comunità era stata animata da alcuni tra i più fini pensatori dell’ordine. L’abbattimento del complesso pose fine a questa fortunata stagione, ma non riuscì a cancellarne la memoria: seppure invisibile, il cenobio dei Santi Stefano e Domenico restò un monumento della città e la sua centralità nell’antico tessuto socio-culturale è restituita dall’assidua frequenza con cui il suo nome ricorre nelle carte d’archivio.
Mascheretti, L., Rinascimento domenicano. Il convento dei Santi Stefano e Domenico in Bergamo tra XV e XVI secolo, Archivio Bergamasco Centro studi e ricerche, Bergamo (Italia) 2020: 287 [http://hdl.handle.net/10807/179147]
Rinascimento domenicano. Il convento dei Santi Stefano e Domenico in Bergamo tra XV e XVI secolo
Mascheretti, Lorenzo
2020
Abstract
Quando la notte dell’11 novembre 1561 lo scoppio di una mina rase al suolo il convento domenicano dei Santi Stefano e Domenico in Bergamo, uno dei maggiori centri culturali dell’Italia cinquecentesca scomparve per sempre. Solo un decennio prima, nel 1550, l’umanista Leandro Alberti nella sua Descrittione di tutta Italia ne aveva elogiato la biblioteca – «da annoverare fra le prime librarie d’Europa» – e, negli anni che precedettero la distruzione, la vita della comunità era stata animata da alcuni tra i più fini pensatori dell’ordine. L’abbattimento del complesso pose fine a questa fortunata stagione, ma non riuscì a cancellarne la memoria: seppure invisibile, il cenobio dei Santi Stefano e Domenico restò un monumento della città e la sua centralità nell’antico tessuto socio-culturale è restituita dall’assidua frequenza con cui il suo nome ricorre nelle carte d’archivio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.