L'entrata degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale giunge in un momento critico dell’esperienza bellica italiana. Nella primavera del 1917, dopo la conquista di Gorizia (agosto 1916) e altre tre inefficaci ‘spallate’ alle linee nemiche, le operazioni languivano durante la preparazione alla decima battaglia dell'Isonzo (maggio-giugno 1917). Nel frattempo, i rapporti con gli alleati europei andavano deteriorandosi. Agli occhi delle autorità britanniche e francesi, la guerra italiana era poco più che un diversivo. Dopo la grande paura seguita all'avanzata austriaca durante le prime fasi dell’‘Offensiva di primavera’ del 1916 (Frühjahrsoffensive), la decisione di concentrarsi quasi interamente sul fronte franco-belga aveva reso l'Italia sempre più marginale nella pianificazione globale. A Roma, la mancanza di successi militari aveva messo a dura prova il debole governo Boselli, mentre il fronte interno era indebolito dalla crisi socio-economica, culminate nelle c.d. “rivolte per il pane” dell'estate del 1917. In questo quadro, il contributo americano era il benvenuto sia per rilanciare l'iniziativa militare alleata, sia per riequilibrare i rapporti di forza fra i vari partner. Le truppe americane raggiunsero il fronte italiano troppo tardi (estate 1918), in numero troppo esiguo (solo il 332° reggimento di fanteria fu schierato in prima linea) e videro troppa poca azione per incidere davvero sugli esiti del conflitto. Tuttavia, sforzi furono fatti per consolidare i legami fra Roma e Washington. Sin dall'inizio della guerra, gli Stati Uniti erano stati fra i principali fornitori di beni e di materie prime a sostegno dello sforzo bellico italiano, un ruolo, questo, che sarebbe diventato ancora più evidente dopo la crisi di Caporetto (ottobre 1917) e l'arrivo di Silvio Benigno Crespi al Sottosegretariato (poi Ministero) per i consumi e gli approvvigionamenti. L’auspicio era anche che Stati Uniti ‘amici’ potessero bilanciare l'ostilità di Francia e Gran Bretagna e a consentire all'Italia di accrescere il suo peso contrattuale sul tavolo della pace. Sul piano diplomatico, questi sforzi si sarebbero rivelati infruttuosi. Durante la conferenza della pace sarebbero emersi netti contrasti fra il Presidente Wilson e la delegazione italiana (così come seno a quest’ultima), specie sulla spinosa questione del confine adriatico. L'irrituale tentativo di Wilson di aggirare i negoziati rivolgendosi direttamente all'opinione pubblica nazionale (‘Dichiarazione sulla questione dell’Adriatico’, 23 aprile 1919) portò al ritiro della delegazione italiana e alla caduta del governo di Orlando senza favorire, di contro, un vero riavvicinamento fra Roma, Parigi e Londra. Nondimeno, l'impatto delle iniziative di Wilson si sarebbe dimostrato duraturo. Nel novembre del 1920, il trattato di Rapallo definiva il confine fra il Regno d'Italia e il neo-costituito Regno di Serbi, Croati e Sloveni, revocando de facto le previsioni del trattato di Londra (23 aprile 1915) e confermando l'ordine geopolitico dell’Adriatico post-asburgico prefigurato da Wilson e che questi era stato incapace di realizzare.
Pastori, G., L’ambigua alleanza. Stati Uniti, Italia e gli equilibri dell’Adriatico post-asburgico, in Burigana, D., Ungari, A. (ed.), Dal Piave a Versailles. Atti del Convegno, Padova, 4-6 giugno 2018, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma 2020: 360- 375 [http://hdl.handle.net/10807/179026]
L’ambigua alleanza. Stati Uniti, Italia e gli equilibri dell’Adriatico post-asburgico
Pastori, Gianluca
2020
Abstract
L'entrata degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale giunge in un momento critico dell’esperienza bellica italiana. Nella primavera del 1917, dopo la conquista di Gorizia (agosto 1916) e altre tre inefficaci ‘spallate’ alle linee nemiche, le operazioni languivano durante la preparazione alla decima battaglia dell'Isonzo (maggio-giugno 1917). Nel frattempo, i rapporti con gli alleati europei andavano deteriorandosi. Agli occhi delle autorità britanniche e francesi, la guerra italiana era poco più che un diversivo. Dopo la grande paura seguita all'avanzata austriaca durante le prime fasi dell’‘Offensiva di primavera’ del 1916 (Frühjahrsoffensive), la decisione di concentrarsi quasi interamente sul fronte franco-belga aveva reso l'Italia sempre più marginale nella pianificazione globale. A Roma, la mancanza di successi militari aveva messo a dura prova il debole governo Boselli, mentre il fronte interno era indebolito dalla crisi socio-economica, culminate nelle c.d. “rivolte per il pane” dell'estate del 1917. In questo quadro, il contributo americano era il benvenuto sia per rilanciare l'iniziativa militare alleata, sia per riequilibrare i rapporti di forza fra i vari partner. Le truppe americane raggiunsero il fronte italiano troppo tardi (estate 1918), in numero troppo esiguo (solo il 332° reggimento di fanteria fu schierato in prima linea) e videro troppa poca azione per incidere davvero sugli esiti del conflitto. Tuttavia, sforzi furono fatti per consolidare i legami fra Roma e Washington. Sin dall'inizio della guerra, gli Stati Uniti erano stati fra i principali fornitori di beni e di materie prime a sostegno dello sforzo bellico italiano, un ruolo, questo, che sarebbe diventato ancora più evidente dopo la crisi di Caporetto (ottobre 1917) e l'arrivo di Silvio Benigno Crespi al Sottosegretariato (poi Ministero) per i consumi e gli approvvigionamenti. L’auspicio era anche che Stati Uniti ‘amici’ potessero bilanciare l'ostilità di Francia e Gran Bretagna e a consentire all'Italia di accrescere il suo peso contrattuale sul tavolo della pace. Sul piano diplomatico, questi sforzi si sarebbero rivelati infruttuosi. Durante la conferenza della pace sarebbero emersi netti contrasti fra il Presidente Wilson e la delegazione italiana (così come seno a quest’ultima), specie sulla spinosa questione del confine adriatico. L'irrituale tentativo di Wilson di aggirare i negoziati rivolgendosi direttamente all'opinione pubblica nazionale (‘Dichiarazione sulla questione dell’Adriatico’, 23 aprile 1919) portò al ritiro della delegazione italiana e alla caduta del governo di Orlando senza favorire, di contro, un vero riavvicinamento fra Roma, Parigi e Londra. Nondimeno, l'impatto delle iniziative di Wilson si sarebbe dimostrato duraturo. Nel novembre del 1920, il trattato di Rapallo definiva il confine fra il Regno d'Italia e il neo-costituito Regno di Serbi, Croati e Sloveni, revocando de facto le previsioni del trattato di Londra (23 aprile 1915) e confermando l'ordine geopolitico dell’Adriatico post-asburgico prefigurato da Wilson e che questi era stato incapace di realizzare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.