Nel Seicento la devozione drammatica francescana mantiene al centro la passione di Cristo vissuta sia nel suo aspetto sacrificale e simpatetico – e perciò ancora legata all’identificazione mimetica di cui Francesco è e resta il modello –, sia nel suo significato salvifico e sacramentale. Permane l’unione dell’istanza penitenziale – che diviene molto forte e si fa più esibita – con un’affettività che mira alla condivisione empatica. Contemporaneamente, viene reinventata la devozione per l’umanità di Cristo e per il suo corpo, doloroso e glorioso a un tempo, presente nell’eucaristia che si offre allo sguardo per essere pregata e adorata. Vengono rivisti i modelli retorici della meditazione e della predicazione della passione che, pur non dimentichi della tradizione risalente a Bonaventura, danno luogo a nuovi dispositivi dell’azione e della rappresentazione. Viene rinnovata la pratica della conformazione che resta legata all’idea della sequela ma viene agita palesemente e teatralmente, traducendosi in cammini fisici e drammatici di penitenza e salvezza. È questo il secolo di una spiritualità drammatica che si incarna facendo suoi i dispositivi teatrali elaborati dall’epoca tardo rinascimentale e barocca, per servirsene sia in funzione catechetica che moralistico-apologetica, mirando cioè all’inculturazione del popolo e alla conversione e riconciliazione; non solo, dunque, in chiave anti protestante e anti ereticale, ma anche e soprattutto per il rinnovamento dei costumi e la rifondazione della società cristiana. Se a partire dal Concilio di Trento la fede, la carità e l’etica divennero in prima istanza responsabilità d’ordine personale, anche nel caso dei francescani sembra avvenire quello che Claudio Bernardi ha definito il paradossale spostamento da un teatro della pietà che «mirava alla conversione individuale per un agire collettivo e per una salvezza sociale», a un teatro della gloria fatto di azioni collettive ma che mira «alla conversione individuale o salvezza personale». Per illustrare questo spostamento il saggio si sofferma su tre esempi del teatro della devozione francescana d’epoca barocca, vale a dire il teatro della passione, ove accanto alla tradizione paraliturgica della deposizione si sviluppano processioni, vie e cammini che commemorano l’itinerario del dolore di Cristo; il teatro delle Quarantore, invenzione che unisce la devozione passionista e quella sacramentale; e, infine, il teatro spirituale, ossia la nuova drammaturgia, che appropriatasi dei modelli compositivi coevi, tratta argomenti scritturali, agiografici, dottrinali e ne fa un uso missionario e edificante.
Bino, C. M., Teatro e devozione, in Alessandra Barto Lomei Romagnol, A. B. L. R., Wiesław Bloc, W. B., Alessandro Mastromatte, A. M. (ed.), STORIA DELLA SPIRITUALITÀ FRANCESCANA 2, (secoli XVI-XX), Centro Editoriale Dehoniano, BOLOGNA -- ITA 2021: 279- 307 [http://hdl.handle.net/10807/178671]
Teatro e devozione
Bino, Carla Maria
2021
Abstract
Nel Seicento la devozione drammatica francescana mantiene al centro la passione di Cristo vissuta sia nel suo aspetto sacrificale e simpatetico – e perciò ancora legata all’identificazione mimetica di cui Francesco è e resta il modello –, sia nel suo significato salvifico e sacramentale. Permane l’unione dell’istanza penitenziale – che diviene molto forte e si fa più esibita – con un’affettività che mira alla condivisione empatica. Contemporaneamente, viene reinventata la devozione per l’umanità di Cristo e per il suo corpo, doloroso e glorioso a un tempo, presente nell’eucaristia che si offre allo sguardo per essere pregata e adorata. Vengono rivisti i modelli retorici della meditazione e della predicazione della passione che, pur non dimentichi della tradizione risalente a Bonaventura, danno luogo a nuovi dispositivi dell’azione e della rappresentazione. Viene rinnovata la pratica della conformazione che resta legata all’idea della sequela ma viene agita palesemente e teatralmente, traducendosi in cammini fisici e drammatici di penitenza e salvezza. È questo il secolo di una spiritualità drammatica che si incarna facendo suoi i dispositivi teatrali elaborati dall’epoca tardo rinascimentale e barocca, per servirsene sia in funzione catechetica che moralistico-apologetica, mirando cioè all’inculturazione del popolo e alla conversione e riconciliazione; non solo, dunque, in chiave anti protestante e anti ereticale, ma anche e soprattutto per il rinnovamento dei costumi e la rifondazione della società cristiana. Se a partire dal Concilio di Trento la fede, la carità e l’etica divennero in prima istanza responsabilità d’ordine personale, anche nel caso dei francescani sembra avvenire quello che Claudio Bernardi ha definito il paradossale spostamento da un teatro della pietà che «mirava alla conversione individuale per un agire collettivo e per una salvezza sociale», a un teatro della gloria fatto di azioni collettive ma che mira «alla conversione individuale o salvezza personale». Per illustrare questo spostamento il saggio si sofferma su tre esempi del teatro della devozione francescana d’epoca barocca, vale a dire il teatro della passione, ove accanto alla tradizione paraliturgica della deposizione si sviluppano processioni, vie e cammini che commemorano l’itinerario del dolore di Cristo; il teatro delle Quarantore, invenzione che unisce la devozione passionista e quella sacramentale; e, infine, il teatro spirituale, ossia la nuova drammaturgia, che appropriatasi dei modelli compositivi coevi, tratta argomenti scritturali, agiografici, dottrinali e ne fa un uso missionario e edificante.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.