Il volume esamina il divieto di abuso di dipendenza economica previsto dall’art. 9, legge n. 192/1998, privilegiando una linea di indagine orientata a mostrare un certo scostamento tra l’entusiasmo con cui la dottrina ha accolto una disciplina che vieta, tra l’altro, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose tra imprese e la prassi applicativa, in cui tale fattispecie di abuso è venuta assai di rado in rilievo. La prima parte del libro è volta a individuare le ragioni del mancato dialogo tra “formanti”: essenzialmente riconducibili all’affermarsi di un’interpretazione restrittiva del presupposto della dipendenza economica, ossia della situazione di debolezza connotata dall’irreperibilità di alternative soddisfacenti sul mercato in cui l’impresa deve trovarsi per ottenere tutela ex art. 9. Tale situazione, riferibile secondo la giurisprudenza alla parte che abbia maturato un affidamento alla prosecuzione del rapporto commerciale in corso, consente infatti di ritenere abusiva al più l’imposizione di condizioni modificative dei termini iniziali in senso peggiorativo per l’impresa che, dipendendo ormai dal partner, sarà disposta a rinegoziare pur di evitare la rottura del rapporto. Essa non consente, invece, di sindacare l’imposizione di condizioni ab origine squilibrate, benché sia proprio questo l’ambito di applicazione della norma che ha suscitato l’interesse della dottrina prevalente, che fin da subito ha accostato il divieto di abuso di dipendenza economica alla disciplina delle clausole abusive nel contratto del consumatore, in quanto comportanti entrambe un inedito sindacato sulla cosiddetta giustizia del contratto. Nel secondo capitolo l’attenzione si sposta dalla norma al sistema per indagare come l’idea di un sindacato sullo squilibrio contrattuale si sia affacciata in giurisprudenza piuttosto sulla scorta di istituti controversi del diritto generale dei contratti (o diritto “primo”), a prescindere dall’accertamento di una situazione di asimmetria di potere tra le parti come quella di dipendenza economica: una propensione, questa, che ha per certi versi contribuito a oscurare le potenzialità di una disciplina speciale (o di diritto “secondo”) come quella in esame, che un tale sindacato espressamente prevede individuando i presupposti e i caratteri dello stesso. Dopo aver analizzato nel terzo capitolo il funzionamento delle tutele, anzitutto invalidatorie, che in funzione protettiva presiedono all’adattamento del contratto concluso mediante abuso di dipendenza economica, l’autore avanza nell’ultima parte del lavoro una interpretazione “evolutiva” della nozione di dipendenza, più larga di quella emergente dai consolidati arresti giurisprudenziali e tale da garantire tutela all’impresa costretta ad accettare condizioni ingiustificatamente gravose sin dall’origine. La riflessione, diretta a promuovere anche una maggiore interazione tra public e private enforcement, si avvia così verso traguardi concreti, delineando orizzonti applicativi più “sfidanti” di quelli sperimentati negli oltre vent’anni di vigenza dell’art. 9, legge n. 192/1998, e in linea con l’esigenza di valorizzare gli strumenti normativi in grado di guidare l’interprete nel delicato compito di sindacare l’esercizio dell’autonomia contrattuale.
Bachelet, V., Abuso di dipendenza economica e squilibrio nei contratti tra imprese. Norma, sistema, tutele, prospettive, Giuffrè Francis Lefebvre spa, Milano 2020: 412 [http://hdl.handle.net/10807/170198]
Abuso di dipendenza economica e squilibrio nei contratti tra imprese. Norma, sistema, tutele, prospettive
Bachelet, Vittorio
2020
Abstract
Il volume esamina il divieto di abuso di dipendenza economica previsto dall’art. 9, legge n. 192/1998, privilegiando una linea di indagine orientata a mostrare un certo scostamento tra l’entusiasmo con cui la dottrina ha accolto una disciplina che vieta, tra l’altro, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose tra imprese e la prassi applicativa, in cui tale fattispecie di abuso è venuta assai di rado in rilievo. La prima parte del libro è volta a individuare le ragioni del mancato dialogo tra “formanti”: essenzialmente riconducibili all’affermarsi di un’interpretazione restrittiva del presupposto della dipendenza economica, ossia della situazione di debolezza connotata dall’irreperibilità di alternative soddisfacenti sul mercato in cui l’impresa deve trovarsi per ottenere tutela ex art. 9. Tale situazione, riferibile secondo la giurisprudenza alla parte che abbia maturato un affidamento alla prosecuzione del rapporto commerciale in corso, consente infatti di ritenere abusiva al più l’imposizione di condizioni modificative dei termini iniziali in senso peggiorativo per l’impresa che, dipendendo ormai dal partner, sarà disposta a rinegoziare pur di evitare la rottura del rapporto. Essa non consente, invece, di sindacare l’imposizione di condizioni ab origine squilibrate, benché sia proprio questo l’ambito di applicazione della norma che ha suscitato l’interesse della dottrina prevalente, che fin da subito ha accostato il divieto di abuso di dipendenza economica alla disciplina delle clausole abusive nel contratto del consumatore, in quanto comportanti entrambe un inedito sindacato sulla cosiddetta giustizia del contratto. Nel secondo capitolo l’attenzione si sposta dalla norma al sistema per indagare come l’idea di un sindacato sullo squilibrio contrattuale si sia affacciata in giurisprudenza piuttosto sulla scorta di istituti controversi del diritto generale dei contratti (o diritto “primo”), a prescindere dall’accertamento di una situazione di asimmetria di potere tra le parti come quella di dipendenza economica: una propensione, questa, che ha per certi versi contribuito a oscurare le potenzialità di una disciplina speciale (o di diritto “secondo”) come quella in esame, che un tale sindacato espressamente prevede individuando i presupposti e i caratteri dello stesso. Dopo aver analizzato nel terzo capitolo il funzionamento delle tutele, anzitutto invalidatorie, che in funzione protettiva presiedono all’adattamento del contratto concluso mediante abuso di dipendenza economica, l’autore avanza nell’ultima parte del lavoro una interpretazione “evolutiva” della nozione di dipendenza, più larga di quella emergente dai consolidati arresti giurisprudenziali e tale da garantire tutela all’impresa costretta ad accettare condizioni ingiustificatamente gravose sin dall’origine. La riflessione, diretta a promuovere anche una maggiore interazione tra public e private enforcement, si avvia così verso traguardi concreti, delineando orizzonti applicativi più “sfidanti” di quelli sperimentati negli oltre vent’anni di vigenza dell’art. 9, legge n. 192/1998, e in linea con l’esigenza di valorizzare gli strumenti normativi in grado di guidare l’interprete nel delicato compito di sindacare l’esercizio dell’autonomia contrattuale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.