Quello del Recovery Fund è stato un parto travagliato, che ha occupato l’intera primavera del 2020 e, la prima parte dell’estate. Un parto caratterizzato da mille ostacoli (posti dai paesi cosiddetti “frugali”) e dalle obiettive difficoltà di tutti a concepire uno strumento basato su un nuovo debito comune europeo. Ma con il Consiglio Europeo più lungo della Storia, verso la fine di luglio, il Recovery Fund ha finalmente visto la luce, non senza aver cambiato nome in Next Generation Europe e con un po’ più di spazio concesso al veto dei “frugali” sui Piani di ripresa e resilienza che tutti i paesi dovranno preparare. Piani che richiedono capacità di programmazione, valutazione e realizzazione che, almeno in Italia, sono tutt’altro che acquisite. Piani che devono coniugare investimenti e riforme, raccordando gli uni e le altre in modo che si rafforzino e si facilitino a vicenda. Chiaro che la semplificazione della Pubblica Amministrazione dovrà accompagnarsi a un potenziamento delle sue capacità di pianificare, realizzare e controllare ex post l’esecuzione dei progetti. Un’Agenzia pubblica incaricata di coordinare le operazioni, guidata da una personalità di indiscusso prestigio e dotata di competenze professionali di primo ordine potrebbe essere un buon punto di partenza, ferma restando la competenza politica nelle grandi scelte sul futuro che devono orientare il Piano, seguendo le linee guida della Commissione europea. Un punto certo (e poco costoso) di questo piano dovrebbe essere un graduale ma deciso aumento delle risorse dedicate alla ricerca scientifica, l’unica che può configurare un’economia realmente basata sulla conoscenza.
Boitani, A., Tamborini, R., Recovery Fund: come usarlo bene, <<"Coronavirus e crisi economica. la risposta europea". Osservatorio Monetario 2/2020>>, 2020; 2020 (2, ottobre): 14-29 [http://hdl.handle.net/10807/168949]
Recovery Fund: come usarlo bene
Boitani, Andrea
;
2020
Abstract
Quello del Recovery Fund è stato un parto travagliato, che ha occupato l’intera primavera del 2020 e, la prima parte dell’estate. Un parto caratterizzato da mille ostacoli (posti dai paesi cosiddetti “frugali”) e dalle obiettive difficoltà di tutti a concepire uno strumento basato su un nuovo debito comune europeo. Ma con il Consiglio Europeo più lungo della Storia, verso la fine di luglio, il Recovery Fund ha finalmente visto la luce, non senza aver cambiato nome in Next Generation Europe e con un po’ più di spazio concesso al veto dei “frugali” sui Piani di ripresa e resilienza che tutti i paesi dovranno preparare. Piani che richiedono capacità di programmazione, valutazione e realizzazione che, almeno in Italia, sono tutt’altro che acquisite. Piani che devono coniugare investimenti e riforme, raccordando gli uni e le altre in modo che si rafforzino e si facilitino a vicenda. Chiaro che la semplificazione della Pubblica Amministrazione dovrà accompagnarsi a un potenziamento delle sue capacità di pianificare, realizzare e controllare ex post l’esecuzione dei progetti. Un’Agenzia pubblica incaricata di coordinare le operazioni, guidata da una personalità di indiscusso prestigio e dotata di competenze professionali di primo ordine potrebbe essere un buon punto di partenza, ferma restando la competenza politica nelle grandi scelte sul futuro che devono orientare il Piano, seguendo le linee guida della Commissione europea. Un punto certo (e poco costoso) di questo piano dovrebbe essere un graduale ma deciso aumento delle risorse dedicate alla ricerca scientifica, l’unica che può configurare un’economia realmente basata sulla conoscenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.