All’indomani dell’Unità, l’insegnante elementare fu il mediatore del progetto pedagogico della classe dirigente italiana: il suo contributo cioè si esplicò nell’impegno a radicare il senso di appartenenza alla nazione portando in ogni comune del Paese la lingua e i valori su cui si fondava lo Stato italiano. La sua azione nella promozione dell’istruzione popolare si svolse entro i confini della politica di scolarizzazione avviata subito all’indomani dell’Unità e inevitabilmente le potenzialità e i limiti di questa politica condizionarono non solo i suoi compiti, ma anche la normativa relativa allo stato giuridico e economico e alla sua formazione, nonché la considerazione sociale della sua professione. Il saggio si concentra sui primi cinquant’anni della storia dello Stato italiano, individuando come termine ad quem l’età giolittiana, momento in cui furono varate importanti leggi per il potenziamento dell’istruzione popolare, accompagnate da provvedimenti a favore dei maestri, ritenuti però da questi ultimi non del tutto adeguati al riconoscimento del ruolo di «apostoli dell’alfabeto» loro affidato fin dall’Unità. Accanto a un’umanità magistrale fragile documentata dalla pubblicistica coeva e dalle relazioni ministeriali, ve ne era un’altra intraprendente, capace di muoversi in autonomia nella scuola dell’epoca. Tra le iniziative organizzate dagli insegnanti nel Paese per rimuovere gli ostacoli che impedivano la frequenza scolastica da parte dei bambini vi fu anche il patronato «Scuola e Famiglia», fondato a Milano nel 1886 dalla maestra comunale Rosa Cavalli Porro. L’esempio dell’iniziativa avviata a Milano dalla Cavalli Porro insieme a altri colleghi ci porta a concludere che, alla fine dell’Ottocento, il maestro italiano appariva non solo culturalmente più attrezzato, preparato e motivato delle generazioni precedenti, ma anche un protagonista più consapevole della vita civile e delle sfide che la scuola dell’obbligo doveva affrontare se voleva realmente rispondere ai compiti che le erano stati assegnati di lotta all’analfabetismo, di promozione dell’istruzione popolare e di formazione al sentimento di identità nazionale.
Ghizzoni, C. F., I maestri, la lotta all’analfabetismo e la diffusione dell’istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento, in Ascenzi, A., Sani, R. (ed.), Inclusione e promozione sociale nel sistema formativo italiano dall’Unità ad oggi, FrancoAngeli, Milano 2020: 47- 73 [http://hdl.handle.net/10807/168738]
I maestri, la lotta all’analfabetismo e la diffusione dell’istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento
Ghizzoni, Carla Francesca
2020
Abstract
All’indomani dell’Unità, l’insegnante elementare fu il mediatore del progetto pedagogico della classe dirigente italiana: il suo contributo cioè si esplicò nell’impegno a radicare il senso di appartenenza alla nazione portando in ogni comune del Paese la lingua e i valori su cui si fondava lo Stato italiano. La sua azione nella promozione dell’istruzione popolare si svolse entro i confini della politica di scolarizzazione avviata subito all’indomani dell’Unità e inevitabilmente le potenzialità e i limiti di questa politica condizionarono non solo i suoi compiti, ma anche la normativa relativa allo stato giuridico e economico e alla sua formazione, nonché la considerazione sociale della sua professione. Il saggio si concentra sui primi cinquant’anni della storia dello Stato italiano, individuando come termine ad quem l’età giolittiana, momento in cui furono varate importanti leggi per il potenziamento dell’istruzione popolare, accompagnate da provvedimenti a favore dei maestri, ritenuti però da questi ultimi non del tutto adeguati al riconoscimento del ruolo di «apostoli dell’alfabeto» loro affidato fin dall’Unità. Accanto a un’umanità magistrale fragile documentata dalla pubblicistica coeva e dalle relazioni ministeriali, ve ne era un’altra intraprendente, capace di muoversi in autonomia nella scuola dell’epoca. Tra le iniziative organizzate dagli insegnanti nel Paese per rimuovere gli ostacoli che impedivano la frequenza scolastica da parte dei bambini vi fu anche il patronato «Scuola e Famiglia», fondato a Milano nel 1886 dalla maestra comunale Rosa Cavalli Porro. L’esempio dell’iniziativa avviata a Milano dalla Cavalli Porro insieme a altri colleghi ci porta a concludere che, alla fine dell’Ottocento, il maestro italiano appariva non solo culturalmente più attrezzato, preparato e motivato delle generazioni precedenti, ma anche un protagonista più consapevole della vita civile e delle sfide che la scuola dell’obbligo doveva affrontare se voleva realmente rispondere ai compiti che le erano stati assegnati di lotta all’analfabetismo, di promozione dell’istruzione popolare e di formazione al sentimento di identità nazionale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.