Il Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali tocca quest’anno il tema della narrazione come dispositivo che consente di fissare la memoria annodando la vita e la storia. Si tratta di un tema di grande attualità. Stiamo, infatti, solo ora provando a uscire da una fase delicata della nostra esperienza individuale e sociale in cui i racconti, la memoria, il rapporto tra la vita e la storia hanno dimostrato tutta la loro importanza. I racconti, anzitutto. Penso al racconto quotidiano della lotta contro il contagio, dei dati dell’epidemia, dell’evolvere della situazione. Ma anche il racconto della liturgia, il racconto della Parola che, dalla televisione e dai social media, ha “tessuto” (come dice il Messaggio) i fili di una comunità che rischiava di disperdersi, tenendola unita. È successo per l’appuntamento mattutino con la messa da Santa Marta, come per le trasmissioni in streaming video da tante chiese in giro per l’Italia. La memoria, in secondo luogo. Penso alla memoria dello spezzare del pane, soprattutto. La liturgia “digitale” ha svolto questa funzione di memoria del gesto, consentendo a tutti i credenti di ripetere l’esperienza dei discepoli di Emmaus, che riconobbero Gesù proprio dallo spezzare del pane. L’icona potentissima di Francesco solo, sul sagrato di San Pietro, da questo punto di vista, ci si consegna come una delle immagini più eloquenti di questa capacità del racconto di fare memoria, di fissare la e nella memoria. Ancora, la vita e la storia. Raccontare è raccontarsi. Una lunga tradizione di pensiero, da Sant’Agostino a Husserl, lo ha fatto vedere molto bene, indicando nel racconto il distendersi temporale della nostra anima. Per questo il racconto è vita, perché della vita è la traduzione, la sceneggiatura che si fa azione. E traduce la vita in storia, perché la sottrae al tempo che passa, la fissa. È capitato così per tante storie di altruismo e di generosità che la retorica dei media, spesso un po’ sensazionalistica, ha etichettato in fretta come “eroismo”. Di fatto erano storie ordinarie e non di eroismo, storie di trascendenza, che hanno indicato a tutti la strada del superamento dell’interesse individuale, dell’uscita dalla propria zona di confort, del dono di sé agli altri. In tutti questi casi la narrazione risponde all’esigenza, che il Messaggio enuncia chiaramente, di costruire storie di bene: «per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri». È chiaro cosa occorra evitare. Sono da evitare le storie che non consentano di “respirare la verità”: succede per le fake news, come per l’informazione ideologica e tendenziosa, come per l’inganno, la mormorazione, la calunnia. Sono da evitare le storie che “distruggono”: sono le storie che diffamano, perseguitano, negano all’altro la dignità di persona. Sono da evitare le storie che producono “confusione”: sono le storie che disorientano, che fanno perdere chiarezza, che rischiano di produrre indistinzione e di conseguenza innescano la logica della violenza. Se ne ricava un’indicazione etica molto forte per tutti gli operatori della comunicazione, ma in fondo per ciascuno di noi. Quello a cui si è richiamati è alla responsabilità del racconto; quella che si auspica si sviluppi è una pedagogia della narrazione capace di far sì che si generino racconti di pace e di ricordarci che anche «quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio».
Rivoltella, P. C., Per una pedagogia della narrazione, in Vincenzo Corrado, P. C. R. (ed.), La vita si fa storia. Commenti al Messaggio di papa Francesco. 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Scholè, BRESCIA -- ITA 2020: 121- 135 [http://hdl.handle.net/10807/165720]
Per una pedagogia della narrazione
Rivoltella, Pier Cesare
2020
Abstract
Il Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali tocca quest’anno il tema della narrazione come dispositivo che consente di fissare la memoria annodando la vita e la storia. Si tratta di un tema di grande attualità. Stiamo, infatti, solo ora provando a uscire da una fase delicata della nostra esperienza individuale e sociale in cui i racconti, la memoria, il rapporto tra la vita e la storia hanno dimostrato tutta la loro importanza. I racconti, anzitutto. Penso al racconto quotidiano della lotta contro il contagio, dei dati dell’epidemia, dell’evolvere della situazione. Ma anche il racconto della liturgia, il racconto della Parola che, dalla televisione e dai social media, ha “tessuto” (come dice il Messaggio) i fili di una comunità che rischiava di disperdersi, tenendola unita. È successo per l’appuntamento mattutino con la messa da Santa Marta, come per le trasmissioni in streaming video da tante chiese in giro per l’Italia. La memoria, in secondo luogo. Penso alla memoria dello spezzare del pane, soprattutto. La liturgia “digitale” ha svolto questa funzione di memoria del gesto, consentendo a tutti i credenti di ripetere l’esperienza dei discepoli di Emmaus, che riconobbero Gesù proprio dallo spezzare del pane. L’icona potentissima di Francesco solo, sul sagrato di San Pietro, da questo punto di vista, ci si consegna come una delle immagini più eloquenti di questa capacità del racconto di fare memoria, di fissare la e nella memoria. Ancora, la vita e la storia. Raccontare è raccontarsi. Una lunga tradizione di pensiero, da Sant’Agostino a Husserl, lo ha fatto vedere molto bene, indicando nel racconto il distendersi temporale della nostra anima. Per questo il racconto è vita, perché della vita è la traduzione, la sceneggiatura che si fa azione. E traduce la vita in storia, perché la sottrae al tempo che passa, la fissa. È capitato così per tante storie di altruismo e di generosità che la retorica dei media, spesso un po’ sensazionalistica, ha etichettato in fretta come “eroismo”. Di fatto erano storie ordinarie e non di eroismo, storie di trascendenza, che hanno indicato a tutti la strada del superamento dell’interesse individuale, dell’uscita dalla propria zona di confort, del dono di sé agli altri. In tutti questi casi la narrazione risponde all’esigenza, che il Messaggio enuncia chiaramente, di costruire storie di bene: «per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri». È chiaro cosa occorra evitare. Sono da evitare le storie che non consentano di “respirare la verità”: succede per le fake news, come per l’informazione ideologica e tendenziosa, come per l’inganno, la mormorazione, la calunnia. Sono da evitare le storie che “distruggono”: sono le storie che diffamano, perseguitano, negano all’altro la dignità di persona. Sono da evitare le storie che producono “confusione”: sono le storie che disorientano, che fanno perdere chiarezza, che rischiano di produrre indistinzione e di conseguenza innescano la logica della violenza. Se ne ricava un’indicazione etica molto forte per tutti gli operatori della comunicazione, ma in fondo per ciascuno di noi. Quello a cui si è richiamati è alla responsabilità del racconto; quella che si auspica si sviluppi è una pedagogia della narrazione capace di far sì che si generino racconti di pace e di ricordarci che anche «quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.