A distanza di pochi anni dalla sconfitta del sedicente “Stato Islamico” (IS), l’Iraq si trova a far fronte a una serie di crisi che rischiano di avere ripercussioni profonde sul futuro del Paese. Oltre a dover fare i conti con un processo di ricostruzione complesso e con le eredità di una stagione di violenza che ha investito intere province, Baghdad ha dovuto fronteggiare un’intensificazione della competizione geopolitica regionale che pare aver eletto la terra dei due fiumi a proprio campo di battaglia privilegiato, come dimostrato dai tragici eventi culminati nell’uccisione del Generale Qassem Suleimani e dagli attacchi missilistici lanciati da Teheran contro forze americane dislocate nel Paese. Le sfide, però, non vengono solo dall’esterno. Da oltre sei mesi migliaia di manifestanti paralizzano le maggiori città dell’Iraq centro-meridionale, chiedendo il completo rinnovamento del sistema politico-istituzionale e la fine di una corruzione ormai dilagante. In questo contesto caratterizzato da una profonda crisi istituzionale, ancora una volta gli occhi degli osservatori interni ed esterni sono rivolti alla massima autorità sciita irachena, il Grande Ayatollah ‘Ali al-Sistani. Per quanto manifestamente ostile alle ingerenze dell’establishment religioso in ambito politico, il marja‘ al-taqlīd (fonte d’imitazione, NdR) ha giocato negli ultimi decenni un ruolo di primo piano, tanto da finire per essere considerato come una sorta di deus ex machina capace di imprimere svolte significative a impasse apparentemente senza via di uscita e di superare linee di divisione profonde e sedimentate. Esempi significativi, in tal senso, sono stati gli appelli rivolti dai manifestanti all’anziano leader, considerato tra i pochi in grado di sostenere le loro istanze, così come le dimissioni del premier Adil Abdul Mahdi, avvenute a poche ore dalla presa di posizione netta del religioso a favore di un cambio di direzione. Eppure, quella che potrebbe apparire come una costante del sistema iracheno, vale a dire il peso specifico della componente sciita, da un punto di vista storico rappresenta una anomalia che sottolinea ancor di più l’importanza della posizione assunta da al-Sistani in questi anni. Fino al 2003, infatti, il rapporto esistente tra le leadership al potere e le massime autorità sciite è stato segnato dalla sottomissione delle seconde alle prime e da una forte contrapposizione: per Baghdad, le guide delle ‘atabat (i luoghi santi sciiti, NdR) rappresentavano centri di potere alternativi potenzialmente in grado di minare la sua presa sul territorio; per le guide religiose sciite, invece, i dirigenti politici erano considerati intrinsecamente ostili, oltre che in larga misura illegittimi

Plebani, A., La centralità del Grande Ayatollah ‘Alī al-Sistani nel sistema iracheno , 2020 [http://hdl.handle.net/10807/150095]

La centralità del Grande Ayatollah ‘Alī al-Sistani nel sistema iracheno

Plebani, Andrea
Primo
2020

Abstract

A distanza di pochi anni dalla sconfitta del sedicente “Stato Islamico” (IS), l’Iraq si trova a far fronte a una serie di crisi che rischiano di avere ripercussioni profonde sul futuro del Paese. Oltre a dover fare i conti con un processo di ricostruzione complesso e con le eredità di una stagione di violenza che ha investito intere province, Baghdad ha dovuto fronteggiare un’intensificazione della competizione geopolitica regionale che pare aver eletto la terra dei due fiumi a proprio campo di battaglia privilegiato, come dimostrato dai tragici eventi culminati nell’uccisione del Generale Qassem Suleimani e dagli attacchi missilistici lanciati da Teheran contro forze americane dislocate nel Paese. Le sfide, però, non vengono solo dall’esterno. Da oltre sei mesi migliaia di manifestanti paralizzano le maggiori città dell’Iraq centro-meridionale, chiedendo il completo rinnovamento del sistema politico-istituzionale e la fine di una corruzione ormai dilagante. In questo contesto caratterizzato da una profonda crisi istituzionale, ancora una volta gli occhi degli osservatori interni ed esterni sono rivolti alla massima autorità sciita irachena, il Grande Ayatollah ‘Ali al-Sistani. Per quanto manifestamente ostile alle ingerenze dell’establishment religioso in ambito politico, il marja‘ al-taqlīd (fonte d’imitazione, NdR) ha giocato negli ultimi decenni un ruolo di primo piano, tanto da finire per essere considerato come una sorta di deus ex machina capace di imprimere svolte significative a impasse apparentemente senza via di uscita e di superare linee di divisione profonde e sedimentate. Esempi significativi, in tal senso, sono stati gli appelli rivolti dai manifestanti all’anziano leader, considerato tra i pochi in grado di sostenere le loro istanze, così come le dimissioni del premier Adil Abdul Mahdi, avvenute a poche ore dalla presa di posizione netta del religioso a favore di un cambio di direzione. Eppure, quella che potrebbe apparire come una costante del sistema iracheno, vale a dire il peso specifico della componente sciita, da un punto di vista storico rappresenta una anomalia che sottolinea ancor di più l’importanza della posizione assunta da al-Sistani in questi anni. Fino al 2003, infatti, il rapporto esistente tra le leadership al potere e le massime autorità sciite è stato segnato dalla sottomissione delle seconde alle prime e da una forte contrapposizione: per Baghdad, le guide delle ‘atabat (i luoghi santi sciiti, NdR) rappresentavano centri di potere alternativi potenzialmente in grado di minare la sua presa sul territorio; per le guide religiose sciite, invece, i dirigenti politici erano considerati intrinsecamente ostili, oltre che in larga misura illegittimi
2020
Italiano
Plebani, A., La centralità del Grande Ayatollah ‘Alī al-Sistani nel sistema iracheno , 2020 [http://hdl.handle.net/10807/150095]
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