Nel variegato panorama del petrarchismo romano di età farnesiana (1534-1549) l’opera poetica di Giovanni Guidiccioni si inserisce a pieno titolo nel dibattito sull’imitazione: essa infatti non si adegua completamente alla normalizzazione bembesca e rappresenta anzi il tentativo di ampliare la norma linguistica e stilistica e di arricchire il ristretto canone individuato da Bembo, ormai in via di ampia affermazione, profilando uno scarto dalla norma, prevedendo un catalogo di auctores più eclettico e più inclusivo, disponibile a sollecitazioni di molteplice natura. Se la stretta imitazione del modello petrarchesco e bembiano rischiava di portare, secondo Guidiccioni, a «farsi servo d’imitar uno», l’ascolto di nuove «voci» e la ricerca di uno «stil misto» avrebbero invece permesso, attraverso un arricchimento di temi, concetti, parole, di coniugare libertà inventiva e rispetto della tradizione, all’insegna di un moderato sperimentalismo che consentiva, ad esempio, l’inserimento nel tessuto del canzoniere di testi espressamente politici e l’adozione di lessico e immagini non petrarcheschi. Lo scopo di questo contributo è di illustrare, attraverso l’analisi delle scelte via via operate dal poeta nell’atto concreto della scrittura e degli spunti di riflessione sul proprio operato contenuti nelle sue lettere, il contributo di Guidiccioni all’elaborazione di un nuovo linguaggio comune e condiviso, ma svincolato da una diretta ed esclusiva fedeltà ad un unico modello: pur sempre fondata sulla lezione di Petrarca, come prescritto da Bembo, la sua lirica volle essere allo stesso tempo aperta e vivificata dalle suggestioni di altre e diverse voci, i «buoni autori» a cui guardare e tra i quali scegliere seguendo il proprio «giudicio».
Tarsi, M. C., "Altre materie" e "altre parole" nella poesia di Giovanni Guidiccioni, in H. Miesse, G. V. (ed.), Modello, regola ordine. Parcours normatifs dans l'Italie du Cinquecento, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2018: 65- 76 [http://hdl.handle.net/10807/146698]
"Altre materie" e "altre parole" nella poesia di Giovanni Guidiccioni
Tarsi, Maria Chiara
2018
Abstract
Nel variegato panorama del petrarchismo romano di età farnesiana (1534-1549) l’opera poetica di Giovanni Guidiccioni si inserisce a pieno titolo nel dibattito sull’imitazione: essa infatti non si adegua completamente alla normalizzazione bembesca e rappresenta anzi il tentativo di ampliare la norma linguistica e stilistica e di arricchire il ristretto canone individuato da Bembo, ormai in via di ampia affermazione, profilando uno scarto dalla norma, prevedendo un catalogo di auctores più eclettico e più inclusivo, disponibile a sollecitazioni di molteplice natura. Se la stretta imitazione del modello petrarchesco e bembiano rischiava di portare, secondo Guidiccioni, a «farsi servo d’imitar uno», l’ascolto di nuove «voci» e la ricerca di uno «stil misto» avrebbero invece permesso, attraverso un arricchimento di temi, concetti, parole, di coniugare libertà inventiva e rispetto della tradizione, all’insegna di un moderato sperimentalismo che consentiva, ad esempio, l’inserimento nel tessuto del canzoniere di testi espressamente politici e l’adozione di lessico e immagini non petrarcheschi. Lo scopo di questo contributo è di illustrare, attraverso l’analisi delle scelte via via operate dal poeta nell’atto concreto della scrittura e degli spunti di riflessione sul proprio operato contenuti nelle sue lettere, il contributo di Guidiccioni all’elaborazione di un nuovo linguaggio comune e condiviso, ma svincolato da una diretta ed esclusiva fedeltà ad un unico modello: pur sempre fondata sulla lezione di Petrarca, come prescritto da Bembo, la sua lirica volle essere allo stesso tempo aperta e vivificata dalle suggestioni di altre e diverse voci, i «buoni autori» a cui guardare e tra i quali scegliere seguendo il proprio «giudicio».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.