Il problema riguarda circa 3 miliardi di persone, che abitano in quei Paesi dove l’agricoltura si basa prevalentemente sulle piccole aziende familiari (PAF), che la FAO stima siano 450 milioni e dotate di una superficie media di 1 ettaro (FAO, 2014). Ipotizzando che tale famiglia-tipo sia composta da 5 persone, la popolazione rurale corrispondente sarebbe di 2,25 miliardi, mentre la popolazione totale di quei Paesi salirebbe a 3,2 miliardi (pari a circa il 40% dell’intero pianeta), poiché si stima che nelle zone rurali viva il 70% degli abitanti. Infine, è utile aggiungere che la superficie coltivata da tali PAF rappresenta circa il 30% di quella mondiale. Stante questa condizione strutturale, se si vuole aumentare la produzione di alimenti esistono due possibilità operative. La prima è quella di promuovere la costituzione di aziende agricole medio-grandi, nelle quali realizzare estese piantagioni, più o meno intensive, allo scopo di produrre quantità ben maggiori di derrate, immaginando che le rese per ettaro possano facilmente e rapidamente diventare almeno 2-3 volte quelle attuali. Se ben gestiti, questi investimenti aumenterebbero sensibilmente la produzione di alimenti del Paese beneficiario senza aggravare l’impatto ambientale, ma difficilmente ridurrebbero i problemi di sicurezza alimentare delle locali popolazioni povere (rurali). La causa risiede nel fatto che queste maggiori disponibilità di derrate alimentari verrebbero più che altro destinate all’esportazione, dato che costituiscono un’importante fonte di introiti attraverso gli scambi internazionali e dato che la popolazione delle PAF non sarebbe in grado di acquistarle. Inoltre, le stesse PAF sarebbero ulteriormente marginalizzate per la sottrazione di terreni e non potendo usufruire di alcun supporto tecnico. La seconda possibilità – per noi preferibile, anche in un sistema misto che preveda anche le prima, purché in equilibrio con quest’ultima - è quella di favorire lo sviluppo agricolo delle PAF, per farle uscire dalla sussistenza, migliorando la disponibilità di cibo (anche per qualità nutrizionale) e generando un minimo reddito famigliare necessario, per attivare forme commerciali e artigianali di ogni tipo.
Bertoni, G., Tabaglio, V., Lotta a fame e malnutrizione nel mondo, in Bettini E, B. E. (ed.), Africa subsahariana. Il ruolo della cooperazione internazionale tra economia e prospettive future, Aracne Editrice, Canterano (Roma) 2019: 1- 4 [http://hdl.handle.net/10807/146348]
Lotta a fame e malnutrizione nel mondo
Bertoni, Giuseppe;Tabaglio, Vincenzo
2019
Abstract
Il problema riguarda circa 3 miliardi di persone, che abitano in quei Paesi dove l’agricoltura si basa prevalentemente sulle piccole aziende familiari (PAF), che la FAO stima siano 450 milioni e dotate di una superficie media di 1 ettaro (FAO, 2014). Ipotizzando che tale famiglia-tipo sia composta da 5 persone, la popolazione rurale corrispondente sarebbe di 2,25 miliardi, mentre la popolazione totale di quei Paesi salirebbe a 3,2 miliardi (pari a circa il 40% dell’intero pianeta), poiché si stima che nelle zone rurali viva il 70% degli abitanti. Infine, è utile aggiungere che la superficie coltivata da tali PAF rappresenta circa il 30% di quella mondiale. Stante questa condizione strutturale, se si vuole aumentare la produzione di alimenti esistono due possibilità operative. La prima è quella di promuovere la costituzione di aziende agricole medio-grandi, nelle quali realizzare estese piantagioni, più o meno intensive, allo scopo di produrre quantità ben maggiori di derrate, immaginando che le rese per ettaro possano facilmente e rapidamente diventare almeno 2-3 volte quelle attuali. Se ben gestiti, questi investimenti aumenterebbero sensibilmente la produzione di alimenti del Paese beneficiario senza aggravare l’impatto ambientale, ma difficilmente ridurrebbero i problemi di sicurezza alimentare delle locali popolazioni povere (rurali). La causa risiede nel fatto che queste maggiori disponibilità di derrate alimentari verrebbero più che altro destinate all’esportazione, dato che costituiscono un’importante fonte di introiti attraverso gli scambi internazionali e dato che la popolazione delle PAF non sarebbe in grado di acquistarle. Inoltre, le stesse PAF sarebbero ulteriormente marginalizzate per la sottrazione di terreni e non potendo usufruire di alcun supporto tecnico. La seconda possibilità – per noi preferibile, anche in un sistema misto che preveda anche le prima, purché in equilibrio con quest’ultima - è quella di favorire lo sviluppo agricolo delle PAF, per farle uscire dalla sussistenza, migliorando la disponibilità di cibo (anche per qualità nutrizionale) e generando un minimo reddito famigliare necessario, per attivare forme commerciali e artigianali di ogni tipo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.