Intorno alla metà degli anni quaranta del Cinquecento Michelangelo pose mano all’allestimento di un canzoniere, operando una selezione all’interno di una produzione poetica ormai consistente, frutto di un esercizio tutt’altro che episodico od occasionale. Pur non essendo giunto a una forma definitiva, il canzoniere rivela nel suo complesso una precisa volontà d’autore: sono esclusi i componimenti di matrice ‘realistica’, viene prediletta la forma del madrigale (solo in seconda battuta e in proporzione molto minore, del sonetto), sono ammessi unicamente testi di ispirazione amorosa. Forza positiva e negativa allo stesso tempo, amore non solo petrarchescamente arde e agghiaccia, ma salva e condanna: le antitesi e le contraddizioni, che Michelangelo trovava già in Petrarca, e che questi ricomponeva per mezzo della poesia, permangono invece in queste rime in tutta la loro drammatica radicalità. Priva dunque di qualsiasi sviluppo o evoluzione, la poesia michelangiolesca riduce al minimo il lessico, sottoponendolo però ad un intenso processo di tipo ‘sperimentale’: il ritorno quasi ossessivo sugli stessi temi, con un gioco di sottili variazioni, è il tentativo di saggiare le molteplici possibilità semantiche della lingua. Lavorando su una singola parola o su un singolo verso, Michelangelo recupera a distanza i materiali, piega alle proprie esigenze i frequenti richiami alla tradizione lirica fino a renderli irriconoscibili, di fatto stravolgendo il codice linguistico che gli proviene da Petrarca (il modello assoluto della sua poesia) e dal petrarchismo cinquecentesco, passandolo al filtro della propria irrequieta, tormentata sensibilità. In questa chiave va interpretata, e valutata, anche l’oscurità di tanti componimenti, che è la spia linguistica del labirinto in cui l’io si trova costretto, fra contraddizioni e ripensamenti: l’irregolarità stilistica è essa stessa espressione delle tensioni che lacerano l’io, di un inestricabile groviglio di sentimenti e pensieri che non si scioglie mai nell’equilibrio desiderato. E in questa chiave va riconsiderata l’intera poesia di Michelangelo, nata dentro e su Petrarca ma allo stesso tempo nuova e diversa, tradizionale ed eccentrica e per questo, forse, a suo modo così moderna.

Tarsi, M. C., (a cura di), Commento scientifico di "Michelangelo Buonarroti, Canzoniere" / Fondazione Pietro Bembo, Milano 2015: 311 [http://hdl.handle.net/10807/146050]

Michelangelo Buonarroti, Canzoniere

Tarsi, Maria Chiara
2015

Abstract

Intorno alla metà degli anni quaranta del Cinquecento Michelangelo pose mano all’allestimento di un canzoniere, operando una selezione all’interno di una produzione poetica ormai consistente, frutto di un esercizio tutt’altro che episodico od occasionale. Pur non essendo giunto a una forma definitiva, il canzoniere rivela nel suo complesso una precisa volontà d’autore: sono esclusi i componimenti di matrice ‘realistica’, viene prediletta la forma del madrigale (solo in seconda battuta e in proporzione molto minore, del sonetto), sono ammessi unicamente testi di ispirazione amorosa. Forza positiva e negativa allo stesso tempo, amore non solo petrarchescamente arde e agghiaccia, ma salva e condanna: le antitesi e le contraddizioni, che Michelangelo trovava già in Petrarca, e che questi ricomponeva per mezzo della poesia, permangono invece in queste rime in tutta la loro drammatica radicalità. Priva dunque di qualsiasi sviluppo o evoluzione, la poesia michelangiolesca riduce al minimo il lessico, sottoponendolo però ad un intenso processo di tipo ‘sperimentale’: il ritorno quasi ossessivo sugli stessi temi, con un gioco di sottili variazioni, è il tentativo di saggiare le molteplici possibilità semantiche della lingua. Lavorando su una singola parola o su un singolo verso, Michelangelo recupera a distanza i materiali, piega alle proprie esigenze i frequenti richiami alla tradizione lirica fino a renderli irriconoscibili, di fatto stravolgendo il codice linguistico che gli proviene da Petrarca (il modello assoluto della sua poesia) e dal petrarchismo cinquecentesco, passandolo al filtro della propria irrequieta, tormentata sensibilità. In questa chiave va interpretata, e valutata, anche l’oscurità di tanti componimenti, che è la spia linguistica del labirinto in cui l’io si trova costretto, fra contraddizioni e ripensamenti: l’irregolarità stilistica è essa stessa espressione delle tensioni che lacerano l’io, di un inestricabile groviglio di sentimenti e pensieri che non si scioglie mai nell’equilibrio desiderato. E in questa chiave va riconsiderata l’intera poesia di Michelangelo, nata dentro e su Petrarca ma allo stesso tempo nuova e diversa, tradizionale ed eccentrica e per questo, forse, a suo modo così moderna.
2015
Italiano
978-88-235-0936-8
Fondazione Pietro Bembo
Tarsi, M. C., (a cura di), Commento scientifico di "Michelangelo Buonarroti, Canzoniere" / Fondazione Pietro Bembo, Milano 2015: 311 [http://hdl.handle.net/10807/146050]
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