Il ciclismo su strada (propagandato dal Touring Club e diffuso grazie alla costruzione di biciclette sempre più affidabili e perfezionate) si propose come mezzo di conoscenza e di crescita della nazione, contribuendo a integrarne le parti – sconosciute l’una all’altra – e a favorire il progresso di quelle meno modernamente sviluppate. Furono intenti espressi anche nell’organizzazione del Giro d’Italia, come testimoniano le cronache e i commenti della «Gazzetta dello Sport», il giornale promotore dalla gara, dai quali emerge la peculiare visione che da Milano e dal Nord Italia si aveva, segnatamente negli ambienti sportivi, della condizione – sportiva e non solo – del Sud del paese. Esso appare percepito, nei primi tre lustri del Novecento, con un senso di esotica alterità (geofisica, sociale, antropologica), in cui non mancano elementi positivi ma prevalgono le sottolineature dei ritardi di sviluppo, soprattutto perché proiettati sugli orizzonti di una nazione che, fatta Stato, doveva costruire una cittadinanza omogenea e reggere validamente il confronto con le più dinamiche ed evolute economie degli Stati nordeuropei. L’arrivo del Giro nelle regioni del Sud, geograficamente remote e sportivamente ancora poco dinamiche (dove non mancava una produzione editoriale dedicata alla cultura fisica, ma certo era carente la partecipazione e l’organizzazione sportiva), mise in movimento folle curiose ed entusiaste, e parve poter imprimere slancio ad uno spirito agonistico che, per il bene del paese, era necessario sviluppare per adeguarsi al moto del mondo progredito. Sospeso il Giro durante la guerra, negli anni successivi al conflitto lo sguardo dei giornalisti e commentatori della «Gazzetta» appare mutato, teso a comprendere il Sud entro una prospettiva maggiormente “unitaria”, abbandonando una visione a tratti paternalistica e segnata dal folklore, fattesi quelle terre – ma soprattutto le popolazioni, ormai divenute partecipi della vita nazionale dopo il coinvolgimento massiccio nella guerra – meno remote e in attesa di “redenzione”, sebbene certamente ancora lontane dall’avvio di un robusto sviluppo. Insomma, la “distanza” che emergeva dai commenti dell’anteguerra sembra superata in un ormai consolidato senso di appartenenza nazionale (che lo sport aveva contribuito e doveva ancora contribuire a rinsaldare), e il Sud non appariva più così remoto dopo il coinvolgimento nel sacrificio collettivo della guerra. L’edizione specificamente dedicata al Mezzogiorno che la «Gazzetta» cominciò a pubblicare dal 1919 dimostra la considerazione ottimistica delle prospettive del mondo sportivo nel Sud del paese, altrettanto meritevole di considerazione di quello settentrionale, senza dimenticare la sproporzione di entità e di organizzazione ma certamente intendendo favorire il superamento del gap. L’intervento che qui si propone considererà dunque l’immagine del Sud per come emerge dalla cronaca e dai commenti della «Gazzetta dello Sport» dedicati al Giro d’Italia, oltre a quelli più in generale presenti nell’edizione per il Mezzogiorno, ricostruendo la fisionomia peculiare della “visione” del Meridione – dal punto di vista sportivo ma anche sociale, economico e antropologico – espressa dai compilatori milanesi del principale giornale di sport d’Italia, nonché degli orizzonti che essi auspicavano fossero raggiunti dal movimento sportivo anche in questa parte della nazione assecondando il modello culturale più ampio di una “capitale morale” che si sentiva investita di un ruolo guida per tutto il paese, e che significativamente fu il punto di partenza e di arrivo del Giro.
Bardelli, D., Nord e Sud sulle pagine de "La Gazzetta dello Sport" nelle prime edizioni del Giro d'Italia, in Teja, A., Tamblè D, T. D., De Luca L, D. L. L. (ed.), Sport e Grande Guerra. Il contributo del Sud. Atti del seminario inetrnazionale. Caserta, 5-6 ottobre 2017, LoGisma Editore di Lazzeri G., Vicchio (FI) 2018: 101- 134 [http://hdl.handle.net/10807/131629]
Nord e Sud sulle pagine de "La Gazzetta dello Sport" nelle prime edizioni del Giro d'Italia
Bardelli, Daniele
2018
Abstract
Il ciclismo su strada (propagandato dal Touring Club e diffuso grazie alla costruzione di biciclette sempre più affidabili e perfezionate) si propose come mezzo di conoscenza e di crescita della nazione, contribuendo a integrarne le parti – sconosciute l’una all’altra – e a favorire il progresso di quelle meno modernamente sviluppate. Furono intenti espressi anche nell’organizzazione del Giro d’Italia, come testimoniano le cronache e i commenti della «Gazzetta dello Sport», il giornale promotore dalla gara, dai quali emerge la peculiare visione che da Milano e dal Nord Italia si aveva, segnatamente negli ambienti sportivi, della condizione – sportiva e non solo – del Sud del paese. Esso appare percepito, nei primi tre lustri del Novecento, con un senso di esotica alterità (geofisica, sociale, antropologica), in cui non mancano elementi positivi ma prevalgono le sottolineature dei ritardi di sviluppo, soprattutto perché proiettati sugli orizzonti di una nazione che, fatta Stato, doveva costruire una cittadinanza omogenea e reggere validamente il confronto con le più dinamiche ed evolute economie degli Stati nordeuropei. L’arrivo del Giro nelle regioni del Sud, geograficamente remote e sportivamente ancora poco dinamiche (dove non mancava una produzione editoriale dedicata alla cultura fisica, ma certo era carente la partecipazione e l’organizzazione sportiva), mise in movimento folle curiose ed entusiaste, e parve poter imprimere slancio ad uno spirito agonistico che, per il bene del paese, era necessario sviluppare per adeguarsi al moto del mondo progredito. Sospeso il Giro durante la guerra, negli anni successivi al conflitto lo sguardo dei giornalisti e commentatori della «Gazzetta» appare mutato, teso a comprendere il Sud entro una prospettiva maggiormente “unitaria”, abbandonando una visione a tratti paternalistica e segnata dal folklore, fattesi quelle terre – ma soprattutto le popolazioni, ormai divenute partecipi della vita nazionale dopo il coinvolgimento massiccio nella guerra – meno remote e in attesa di “redenzione”, sebbene certamente ancora lontane dall’avvio di un robusto sviluppo. Insomma, la “distanza” che emergeva dai commenti dell’anteguerra sembra superata in un ormai consolidato senso di appartenenza nazionale (che lo sport aveva contribuito e doveva ancora contribuire a rinsaldare), e il Sud non appariva più così remoto dopo il coinvolgimento nel sacrificio collettivo della guerra. L’edizione specificamente dedicata al Mezzogiorno che la «Gazzetta» cominciò a pubblicare dal 1919 dimostra la considerazione ottimistica delle prospettive del mondo sportivo nel Sud del paese, altrettanto meritevole di considerazione di quello settentrionale, senza dimenticare la sproporzione di entità e di organizzazione ma certamente intendendo favorire il superamento del gap. L’intervento che qui si propone considererà dunque l’immagine del Sud per come emerge dalla cronaca e dai commenti della «Gazzetta dello Sport» dedicati al Giro d’Italia, oltre a quelli più in generale presenti nell’edizione per il Mezzogiorno, ricostruendo la fisionomia peculiare della “visione” del Meridione – dal punto di vista sportivo ma anche sociale, economico e antropologico – espressa dai compilatori milanesi del principale giornale di sport d’Italia, nonché degli orizzonti che essi auspicavano fossero raggiunti dal movimento sportivo anche in questa parte della nazione assecondando il modello culturale più ampio di una “capitale morale” che si sentiva investita di un ruolo guida per tutto il paese, e che significativamente fu il punto di partenza e di arrivo del Giro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.