Persia o Iran? Farsi o Persiano o Iraniano? Si dice spesso che la complessità sia la cifra distintiva della cultura iraniana. E una complessità che inizia fin dal suo nome. Winston Churchill, nel 1935 – allorché il governo di Teheran mutò il suo nome da Persia a Iran – con il suo sbrigativo eurocentrismo tardo-vittoriano disse che i persiani potevano chiamarsi come meglio ritenevano, tanto sarebbero sempre rimasti la Persia, come li chiamavano gli inglesi. Ma aveva torto: dietro il nome di un popolo e di un paese, si cela sempre molto di più di quanto appaia. E così è per la sua lingua. Tanto più se si tratta di un paese forgiato da millenni di storia e affascinante, ma difficile da comprendere: paese che è parte del Medio Oriente ma che da questo differisce, paese islamico ma di un islam differente da quello professato da molti dei propri vicini, attratto e legato alla civiltà occidentale e nello stesso tempo timoroso di esserne ‘contaminato’ e trasformato. Una complessità che favorisce le incomprensioni e le percezioni erronee, ma che rende il paese così unico e ricco di sfaccettare. Una complessità infine che muta lentamente, e che permette di leggere la storia degli ultimi secoli dell’Iran attraverso una serie di ‘continuità’, che permangono al di là delle differenze, delle condizioni mutate, delle rivoluzioni, di cui la sua lingua rappresenta forse la principale cifra costitutiva.
Redaelli, R., Fra Oriente e Occidente: la millenaria civiltà dell’Iran, Geopolitica delle lingue, MAGGIOLI EDITORE, SANTARCANGELO DI ROMAGNA (RN) -- ITA 2018: 175-184 [http://hdl.handle.net/10807/121255]
Fra Oriente e Occidente: la millenaria civiltà dell’Iran
Redaelli, Riccardo
2018
Abstract
Persia o Iran? Farsi o Persiano o Iraniano? Si dice spesso che la complessità sia la cifra distintiva della cultura iraniana. E una complessità che inizia fin dal suo nome. Winston Churchill, nel 1935 – allorché il governo di Teheran mutò il suo nome da Persia a Iran – con il suo sbrigativo eurocentrismo tardo-vittoriano disse che i persiani potevano chiamarsi come meglio ritenevano, tanto sarebbero sempre rimasti la Persia, come li chiamavano gli inglesi. Ma aveva torto: dietro il nome di un popolo e di un paese, si cela sempre molto di più di quanto appaia. E così è per la sua lingua. Tanto più se si tratta di un paese forgiato da millenni di storia e affascinante, ma difficile da comprendere: paese che è parte del Medio Oriente ma che da questo differisce, paese islamico ma di un islam differente da quello professato da molti dei propri vicini, attratto e legato alla civiltà occidentale e nello stesso tempo timoroso di esserne ‘contaminato’ e trasformato. Una complessità che favorisce le incomprensioni e le percezioni erronee, ma che rende il paese così unico e ricco di sfaccettare. Una complessità infine che muta lentamente, e che permette di leggere la storia degli ultimi secoli dell’Iran attraverso una serie di ‘continuità’, che permangono al di là delle differenze, delle condizioni mutate, delle rivoluzioni, di cui la sua lingua rappresenta forse la principale cifra costitutiva.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.