Sul piano diplomatico, l’entrata degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale è uno degli eventi caratterizzanti il 1917. Anche se l’impatto operativo è limitato (i primi reparti dell’AEF entrano in linea in Francia solo all’inizio dell’anno successivo), la portata politica e diplomatica di questo evento è difficile da ridimensionare. Con la dichiarazione di guerra del 6 aprile, il conflitto evolve da ‘semplice’ sconto di potenza, nella linea delle ottocentesche ‘guerre di Cancelleria’, in ‘guerra costituente’, attraverso cui la sconfitta del ‘militarismo prussiano’ avrebbe aperto la strada a un ordine postbellico fondato sulla ‘pace senza vittoria’ e su un mondo ‘safe for democracy’. Il saldarsi intorno a questi principi delle Potenze alleate e associate, inoltre, chiude definitivamente ogni possibilità di giungere a una pace di compromesso, come avrebbero dimostrato, quello stesso anno, per ragioni diverse, le esperienze della nota pontificia del 1° agosto e del tentativo di mediazione dal principe Sisto di Borbone-Parma. La scelta statunitense non è, tuttavia, agevole. Essa si scontra da una parte con i sentimenti neutralisti di larghe fasce della popolazione, dall’altra con i limiti di un dispositivo militare nato e cresciuto soprattutto per soddisfare le esigenze della sicurezza interna e per svolgere limitate attività di policing nei tradizionali ‘cortili di casa’. Con un sistema industriale impegnato a soddisfare le esigenze dei belligeranti europei, l’AEF avrebbe incontrato seri problemi ad armarsi ed equipaggiarsi, tanto da dovere contare – per la propria operatività – sulle forniture britanniche e francesi fino a uno stadio avanzato del conflitto. Parallelamente, l’adozione del contestato Selective Service Act avrebbe aperto le porte dell’esercito a un gran numero d’immigrati che – cresciuti nel chiuso delle township etniche (“Little Italy”, “Little Odessa”, “Kleine Deutschland”…) – anche grazie a questa esperienza avrebbero acquisito una crescente consapevolezza del proprio ruolo in una società attraversata da violente pulsioni nativiste. Il fatto di qualificare gli USA come semplici ‘associati’ allo sforzo bellico delle Potenze europee e non come loro ‘alleati’ segnala, infine, una presa di distanza destinata a riflettersi da un lato nell’autonomia rivendicata e difesa dal comandante dell’AEF (generale Pershing) e dai suoi referenti politici, dall’altro nella posizione assunta dal Presidente Wilson al tavolo della pace. La formula ambigua dell’associazione permetteva, infatti, a Washington di non considerarsi vincolata agli accordi conclusi negli anni precedenti dai governi europei e alle decisioni da questi prese congiuntamente pur conservando una certa influenza sulla condotta della guerra e la definizione dei suoi obiettivi. L’invito del generale Pétain ad ‘attendere i carri e gli americani’ come elementi risolutori del conflitto avrebbe rafforzato questa posizione. Una posizione che, inizialmente accettata dalle Potenze europee, sarebbe stata, tuttavia, sempre più risentita, fino a sfociare nei contrasti aperti destinati a punteggiare la Conferenza di Parigi.

Pastori, G., Gli USA e la “svolta” del 1917. Limiti e ambizioni dell’intervento statunitense, L’Italia e la Grande Guerra. Il 1917. L'anno della svolta. Atti del Congresso di studi storici internazionali, Roma, 25-26 ottobre 2017, Stato Maggiore Difesa - Ufficio Storico, Roma 2018: 57-68 [http://hdl.handle.net/10807/120918]

Gli USA e la “svolta” del 1917. Limiti e ambizioni dell’intervento statunitense

Pastori, Gianluca
2018

Abstract

Sul piano diplomatico, l’entrata degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale è uno degli eventi caratterizzanti il 1917. Anche se l’impatto operativo è limitato (i primi reparti dell’AEF entrano in linea in Francia solo all’inizio dell’anno successivo), la portata politica e diplomatica di questo evento è difficile da ridimensionare. Con la dichiarazione di guerra del 6 aprile, il conflitto evolve da ‘semplice’ sconto di potenza, nella linea delle ottocentesche ‘guerre di Cancelleria’, in ‘guerra costituente’, attraverso cui la sconfitta del ‘militarismo prussiano’ avrebbe aperto la strada a un ordine postbellico fondato sulla ‘pace senza vittoria’ e su un mondo ‘safe for democracy’. Il saldarsi intorno a questi principi delle Potenze alleate e associate, inoltre, chiude definitivamente ogni possibilità di giungere a una pace di compromesso, come avrebbero dimostrato, quello stesso anno, per ragioni diverse, le esperienze della nota pontificia del 1° agosto e del tentativo di mediazione dal principe Sisto di Borbone-Parma. La scelta statunitense non è, tuttavia, agevole. Essa si scontra da una parte con i sentimenti neutralisti di larghe fasce della popolazione, dall’altra con i limiti di un dispositivo militare nato e cresciuto soprattutto per soddisfare le esigenze della sicurezza interna e per svolgere limitate attività di policing nei tradizionali ‘cortili di casa’. Con un sistema industriale impegnato a soddisfare le esigenze dei belligeranti europei, l’AEF avrebbe incontrato seri problemi ad armarsi ed equipaggiarsi, tanto da dovere contare – per la propria operatività – sulle forniture britanniche e francesi fino a uno stadio avanzato del conflitto. Parallelamente, l’adozione del contestato Selective Service Act avrebbe aperto le porte dell’esercito a un gran numero d’immigrati che – cresciuti nel chiuso delle township etniche (“Little Italy”, “Little Odessa”, “Kleine Deutschland”…) – anche grazie a questa esperienza avrebbero acquisito una crescente consapevolezza del proprio ruolo in una società attraversata da violente pulsioni nativiste. Il fatto di qualificare gli USA come semplici ‘associati’ allo sforzo bellico delle Potenze europee e non come loro ‘alleati’ segnala, infine, una presa di distanza destinata a riflettersi da un lato nell’autonomia rivendicata e difesa dal comandante dell’AEF (generale Pershing) e dai suoi referenti politici, dall’altro nella posizione assunta dal Presidente Wilson al tavolo della pace. La formula ambigua dell’associazione permetteva, infatti, a Washington di non considerarsi vincolata agli accordi conclusi negli anni precedenti dai governi europei e alle decisioni da questi prese congiuntamente pur conservando una certa influenza sulla condotta della guerra e la definizione dei suoi obiettivi. L’invito del generale Pétain ad ‘attendere i carri e gli americani’ come elementi risolutori del conflitto avrebbe rafforzato questa posizione. Una posizione che, inizialmente accettata dalle Potenze europee, sarebbe stata, tuttavia, sempre più risentita, fino a sfociare nei contrasti aperti destinati a punteggiare la Conferenza di Parigi.
2018
Italiano
9788898185344
Stato Maggiore Difesa - Ufficio Storico
Pastori, G., Gli USA e la “svolta” del 1917. Limiti e ambizioni dell’intervento statunitense, L’Italia e la Grande Guerra. Il 1917. L'anno della svolta. Atti del Congresso di studi storici internazionali, Roma, 25-26 ottobre 2017, Stato Maggiore Difesa - Ufficio Storico, Roma 2018: 57-68 [http://hdl.handle.net/10807/120918]
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