Nell’ultimo ventennio, mano a mano che la protezione dell’ambiente è assurta quale priorità nella coscienza della società civile e nelle agende politiche delle maggiori sfere decisionali, ci si è ben presto resi conto di come la soluzione del problema risultasse particolarmente complessa a causa di una delle principali caratteristiche del “bene” ambiente: quella della sua “trasversalità”. L’ambiente costituisce al tempo stesso “l’involucro” entro il quale tutte le attività umane si svolgono e l’insieme delle risorse naturali senza le quali non sarebbe possibile sopravvivere. Non esiste attività umana, di alcun genere, che non sia in qualche modo interconnessa con l’ambiente. Per tale motivo quest’ultimo può essere efficacemente tutelato solo attraverso interventi programmati nei diversi settori della società. Al tempo stesso si affaccia all’orizzonte nel 1987 e si fa prepotentemente strada – ancora una volta sia a livello di società civile sia in ambito politico – un nuovo concetto, quello dello sviluppo sostenibile che, con le sue famose “tre gambe” – sociale, economica e ambientale –, viene accolto quale unica forma di crescita possibile. Per strade diverse, in sostanza, si giunge alle stesse conclusioni: la gestione dell’ambiente non può essere scissa dalla trattazione delle altre maggiori problematiche attinenti la società. Nonostante tale consapevolezza, tuttavia, nella pratica gli interessi settoriali continuano a prevalere e il dialogo fra le parti risulta ancora molto difficoltoso. Quali le soluzioni? Alcuni credono nella riuscita degli strumenti volontari, ma l’esperienza dimostra come non sempre questi risultino efficaci. Altri invocano la necessità di una regolamentazione: strumento, questo, spesso utile di fronte alle emergenze, ma indubbiamente più costoso e non sempre così valido. Ancora una volta, allora, forse il segreto sta nell’equilibrio, nel ricorso a un giusto mix di strumenti, che da una parte argini i problemi più urgenti, ma che dall’altra favorisca la nascita e il radicamento di atteggiamenti e comportamenti sostenibili. Il fine di queste pagine è quello di fornire un contributo alla comprensione di come l’ancora astratto concetto di sviluppo sostenibile possa essere tradotto in termini concreti e applicato a realtà effettive. Fin da quando esso ha fatto la sua comparsa oramai trent’anni fa, infatti, presentato come l’unica forma di sviluppo che potesse in un certo senso tutelare il nostro Pianeta e la sua popolazione dalla rovina più completa, scienziati politici, economisti, giuristi, sociologi, la comunità scientifica intera nelle sue diverse componenti, sempre si sono scontrati col dilemma di come potere raggiungere e mantenere una crescita equilibrata e duratura della società nel suo complesso e nelle sue diverse dimensioni – sociale, ambientale ed economica. Da questo punto di vista, subito si è attribuito un ruolo chiave al governo locale, e in tal senso l’Agenda 21 è stata ben presto presentata come uno degli strumenti principali attraverso il quale attuare una gestione sostenibile della società, del territorio e dell’ambiente, grazie soprattutto alla sua natura fortemente ‘partecipata’. A distanza di più di vent’anni dalla Dichiarazione di Rio e dalla nascita dell’Agenda 21 locale, di questa non si sente più parlare, benché ci siamo abituati – finalmente anche in Italia, a riconoscere la rilevanza dei processi partecipativi nell’assunzione di decisioni pubbliche, in particolare rispetto a questioni concernenti il raggiungimento dello sviluppo sostenibile. Ciò di cui forse ancora manchiamo è invece l’esperienza necessaria a gestire la partecipazione in modo ‘ordinato’, evitando di fare divenire le arene pubbliche luoghi di scontro senza limiti. Da questo punto di vista, tuttavia, esistono vincenti esempi stranieri da cui trarre utili indicazioni. L’oggetto del paragrafo 2 è rappresentato dalle origini della questione ambientale, si descrivono, cioè, il periodo e i termini in cui se ne è cominciato a parlare. Si prosegue, poi, nel paragrafo successivo, cercando di mettere a fuoco le motivazioni per cui la soluzione delle problematiche ambientali risulta particolarmente complessa. Nel quarto paragrafo ci si sofferma sulla soluzione proposta nella Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992: il concetto di sviluppo sostenibile. Il quinto e il sesto paragrafo si concentrano sui processi partecipativi, presentandoli come una delle possibilità modalità vincenti per attuare lo sviluppo sostenibile; nello specifico si spiegano le motivazioni della loro affermazione (par. 5) e si indica la democrazia deliberativa quale forma ideale attraverso la quale realizzare la partecipazione dei cittadini (par.6). Nel settimo paragrafo, infine, si avanza qualche considerazione conclusiva.

Beretta, I., Sviluppo sostenibile e processi partecipativi, in Agustoni, A., Veraldi, P., Giuntarelli, P. (ed.), Sociologia dello Spazio, dell'Ambiente e del Territorio (nuova edizione aggiornata), Franco Angeli, Milano 2017: 302- 313 [http://hdl.handle.net/10807/116155]

Sviluppo sostenibile e processi partecipativi

Beretta, Ilaria
2017

Abstract

Nell’ultimo ventennio, mano a mano che la protezione dell’ambiente è assurta quale priorità nella coscienza della società civile e nelle agende politiche delle maggiori sfere decisionali, ci si è ben presto resi conto di come la soluzione del problema risultasse particolarmente complessa a causa di una delle principali caratteristiche del “bene” ambiente: quella della sua “trasversalità”. L’ambiente costituisce al tempo stesso “l’involucro” entro il quale tutte le attività umane si svolgono e l’insieme delle risorse naturali senza le quali non sarebbe possibile sopravvivere. Non esiste attività umana, di alcun genere, che non sia in qualche modo interconnessa con l’ambiente. Per tale motivo quest’ultimo può essere efficacemente tutelato solo attraverso interventi programmati nei diversi settori della società. Al tempo stesso si affaccia all’orizzonte nel 1987 e si fa prepotentemente strada – ancora una volta sia a livello di società civile sia in ambito politico – un nuovo concetto, quello dello sviluppo sostenibile che, con le sue famose “tre gambe” – sociale, economica e ambientale –, viene accolto quale unica forma di crescita possibile. Per strade diverse, in sostanza, si giunge alle stesse conclusioni: la gestione dell’ambiente non può essere scissa dalla trattazione delle altre maggiori problematiche attinenti la società. Nonostante tale consapevolezza, tuttavia, nella pratica gli interessi settoriali continuano a prevalere e il dialogo fra le parti risulta ancora molto difficoltoso. Quali le soluzioni? Alcuni credono nella riuscita degli strumenti volontari, ma l’esperienza dimostra come non sempre questi risultino efficaci. Altri invocano la necessità di una regolamentazione: strumento, questo, spesso utile di fronte alle emergenze, ma indubbiamente più costoso e non sempre così valido. Ancora una volta, allora, forse il segreto sta nell’equilibrio, nel ricorso a un giusto mix di strumenti, che da una parte argini i problemi più urgenti, ma che dall’altra favorisca la nascita e il radicamento di atteggiamenti e comportamenti sostenibili. Il fine di queste pagine è quello di fornire un contributo alla comprensione di come l’ancora astratto concetto di sviluppo sostenibile possa essere tradotto in termini concreti e applicato a realtà effettive. Fin da quando esso ha fatto la sua comparsa oramai trent’anni fa, infatti, presentato come l’unica forma di sviluppo che potesse in un certo senso tutelare il nostro Pianeta e la sua popolazione dalla rovina più completa, scienziati politici, economisti, giuristi, sociologi, la comunità scientifica intera nelle sue diverse componenti, sempre si sono scontrati col dilemma di come potere raggiungere e mantenere una crescita equilibrata e duratura della società nel suo complesso e nelle sue diverse dimensioni – sociale, ambientale ed economica. Da questo punto di vista, subito si è attribuito un ruolo chiave al governo locale, e in tal senso l’Agenda 21 è stata ben presto presentata come uno degli strumenti principali attraverso il quale attuare una gestione sostenibile della società, del territorio e dell’ambiente, grazie soprattutto alla sua natura fortemente ‘partecipata’. A distanza di più di vent’anni dalla Dichiarazione di Rio e dalla nascita dell’Agenda 21 locale, di questa non si sente più parlare, benché ci siamo abituati – finalmente anche in Italia, a riconoscere la rilevanza dei processi partecipativi nell’assunzione di decisioni pubbliche, in particolare rispetto a questioni concernenti il raggiungimento dello sviluppo sostenibile. Ciò di cui forse ancora manchiamo è invece l’esperienza necessaria a gestire la partecipazione in modo ‘ordinato’, evitando di fare divenire le arene pubbliche luoghi di scontro senza limiti. Da questo punto di vista, tuttavia, esistono vincenti esempi stranieri da cui trarre utili indicazioni. L’oggetto del paragrafo 2 è rappresentato dalle origini della questione ambientale, si descrivono, cioè, il periodo e i termini in cui se ne è cominciato a parlare. Si prosegue, poi, nel paragrafo successivo, cercando di mettere a fuoco le motivazioni per cui la soluzione delle problematiche ambientali risulta particolarmente complessa. Nel quarto paragrafo ci si sofferma sulla soluzione proposta nella Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992: il concetto di sviluppo sostenibile. Il quinto e il sesto paragrafo si concentrano sui processi partecipativi, presentandoli come una delle possibilità modalità vincenti per attuare lo sviluppo sostenibile; nello specifico si spiegano le motivazioni della loro affermazione (par. 5) e si indica la democrazia deliberativa quale forma ideale attraverso la quale realizzare la partecipazione dei cittadini (par.6). Nel settimo paragrafo, infine, si avanza qualche considerazione conclusiva.
2017
Italiano
Sociologia dello Spazio, dell'Ambiente e del Territorio (nuova edizione aggiornata)
9788891761972
Franco Angeli
Beretta, I., Sviluppo sostenibile e processi partecipativi, in Agustoni, A., Veraldi, P., Giuntarelli, P. (ed.), Sociologia dello Spazio, dell'Ambiente e del Territorio (nuova edizione aggiornata), Franco Angeli, Milano 2017: 302- 313 [http://hdl.handle.net/10807/116155]
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