“Mediation è una parola straniera, Gjentagelse è una sana parola danese, e io mi congratulo colla lingua danese, che ha un termine filosofico”, scrive Constantin Constantius dopo una ventina di pagine di Gjentagelsen. Ma il suo congratularsi è per diversi aspetti canzonatorio, se non addirittura polemico, poiché la parola “gentagelse” non diviene mai un “termine filosofico” – per la qual cosa forse la parola deve ringraziare in particolare proprio l’opera Gjentagelsen. Gjentagelsen infatti non è una dotta trattazione analitica del concetto, ma è piuttosto un racconto su un concetto che si presta a così tante approssimazioni definitorie e a veri e propri abusi di significato, che alla fine non lo si comprende affatto, ma è semplicemente demolito e va in pezzi sotto gli occhi del lettore. Se questo disfacimento della ripetizione in Gjentagelsen sia dovuto alle deboli attitudini del concetto stesso o forse piuttosto allo spiccio maneggiamento del concetto da parte del racconto, è difficile a stabilirsi, ma che Gjentagelsen venga frainteso, qualora si ponga l’attenzione solo sul concetto e si lasci stare il resto, ciò è indiscutibile. Se si cerca in altre parole di far presa sulla ripetizione prescindendo dalla narrativa, dalla retorica, dalle immagini, in breve dalla forma linguistica letteraria, allora io sostengo che si è colto ciò che è meno essenziale. Era in linea di massima una tale operazione quella che J.L. Heiberg effettuò quando nel dicembre 1843 recensì Gjentagelsen con certe riserve, cosa che portò l’irritato Kierkegaard a elaborare una specie di “informatore” il cui scopo era quello di rendere Heiberg edotto sulla corretta lettura di Gjentagelsen.
Basso, I. M., “Lo sbuffo dello spirito” o ab posse ad esse. Kierkegaard: teatro, formazione e decostruzione, / traduzione di Garff, J., "»Aandens Fnysen« eller Ab posse ad esse. Kierkegaard: teater, dannelse og dekonstruktion", La profondità della scena. Il teatro visitato da Kierkegaard, Kierkegaard visitato dal teatro, Il Melangolo, Milano, 2008: 107-129 [http://hdl.handle.net/10807/107243]
“Lo sbuffo dello spirito” o ab posse ad esse. Kierkegaard: teatro, formazione e decostruzione
Basso, Ingrid Marina
2008
Abstract
“Mediation è una parola straniera, Gjentagelse è una sana parola danese, e io mi congratulo colla lingua danese, che ha un termine filosofico”, scrive Constantin Constantius dopo una ventina di pagine di Gjentagelsen. Ma il suo congratularsi è per diversi aspetti canzonatorio, se non addirittura polemico, poiché la parola “gentagelse” non diviene mai un “termine filosofico” – per la qual cosa forse la parola deve ringraziare in particolare proprio l’opera Gjentagelsen. Gjentagelsen infatti non è una dotta trattazione analitica del concetto, ma è piuttosto un racconto su un concetto che si presta a così tante approssimazioni definitorie e a veri e propri abusi di significato, che alla fine non lo si comprende affatto, ma è semplicemente demolito e va in pezzi sotto gli occhi del lettore. Se questo disfacimento della ripetizione in Gjentagelsen sia dovuto alle deboli attitudini del concetto stesso o forse piuttosto allo spiccio maneggiamento del concetto da parte del racconto, è difficile a stabilirsi, ma che Gjentagelsen venga frainteso, qualora si ponga l’attenzione solo sul concetto e si lasci stare il resto, ciò è indiscutibile. Se si cerca in altre parole di far presa sulla ripetizione prescindendo dalla narrativa, dalla retorica, dalle immagini, in breve dalla forma linguistica letteraria, allora io sostengo che si è colto ciò che è meno essenziale. Era in linea di massima una tale operazione quella che J.L. Heiberg effettuò quando nel dicembre 1843 recensì Gjentagelsen con certe riserve, cosa che portò l’irritato Kierkegaard a elaborare una specie di “informatore” il cui scopo era quello di rendere Heiberg edotto sulla corretta lettura di Gjentagelsen.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.