Esporre un corpo è l’atto e l’effetto di presentare, mettere in mostra o più genericamente mettere fuori qualcuno ai fini di conoscerlo, riconoscerlo, giudicarlo, ammirarlo, ma è anche l’atto o la condizione di esporre qualcuno all’azione di altre persone o di agenti climatici e ambientali. In entrambi i casi l’esposizione fisica può essere vantaggiosa o rischiosa. La condizione più pericolosa di corpi esposti è quella di coloro che vengono abbandonati a se stessi e si trovano inermi e indifesi, in balìa di eventi naturali catastrofici o di azioni offensive e aggressive o in situazioni ambientali e sociali durissime. La peggiore condizione è l’esposizione sacrificale di chi, vivo o morto, viene messo in mostra e dato in pasto al pubblico per condanna morale, ludibrio, gogna, monito, vendetta, voyeurismo, giustizia capitale. L’avvento prima della società dell’immagine e dello spettacolo e poi dei social media ha portato alla massima esposizione di corpi, indotta dalla bulimica voglia di vedere e farsi vedere. La celebrazione mediale del corpo umano sembra polarizzarsi oggi su due modellizzazioni, quella del “corpo tecnologico” o “corpo macchina”, oggetto di sperimentazioni e virtualizzazioni, e quella del “corpo desiderio”, tonico, bello, allenato, pubblicizzato come sacrario della soddisfazione privata e dell’autoesaltazione erotica ed estetica. Nel primo caso, a causa dei suoi limiti e della sua fragilità, il corpo risulta una parte maledetta dell’uomo, per cui la scienza e la tecnica si prodigano per trovare soluzioni alla deperibilità del corpo rimodellandone, potenziandone o sostituendone parti. Nel secondo caso, l’idolatria del corpo passa attraverso la cura ossessiva della linea, della forma, del benessere e la preoccupazione di restare e apparire giovani. In entrambi i casi il corpo funziona come un alter ego. L’individuo percepisce il proprio corpo come diverso da lui. La nuova versione del dualismo anima/corpo è oggi individuo/corpo. Il corpo però sostituendo l’anima, invisibile, spirituale, perfetta, immateriale, immortale, arriva alle stesse pretese di perfezione. Essendo però visibile, il corpo perfetto si deve incarnare in modelli sottoposti a processi di divinizzazione attraverso immagini o rappresentazioni idealizzate o in divi dello spettacolo. In entrambi i modelli l’alienazione del corpo soggiace alla legge del desiderio mimetico. A quale modello di corpo, infatti, si cerca di conformare il proprio corpo? Chi sono i modelli o i mediatori del corpo desiderato? Ma se questi modelli sono immagini di corpi spettacolari e ideali, corpi cioè continuamente sostituiti e ritoccati, la frustrazione delle persone non può che essere permanente... Nel contesto antropologico contemporaneo di dualismo tra corpo/mente esasperato dall’alta esposizione di tutti al desiderio mimetico di un corpo divino e di un corpo plastico, manipolabile, sostituibile, intercambiabile, il teatro e le arti performative svolgono un doppio ruolo di critica e di cura. Fin dagli albori, infatti, il teatro ha sviluppato una sapienza critica delle rappresentazioni e degli effetti tragici del desiderio mimetico. Come arte dei corpi, il teatro sviluppa sempre più, a fianco della catarsi cognitiva delle “cattive rappresentazioni” della collettività, la cura “fisica” e relazionale delle persone, dei gruppi, delle comunità, del corpo sociale, trasformando gli spettatori in attori dei propri vissuti, lavorando con i corpi, sui corpi e per i corpi reali delle persone alla ricerca non della messa in scena narcisistica di sé, ma dell’incarnazione irriducibile di sé come apertura all’altro e agli altri.

Bernardi, C., Fornari, G., Breton, D. L., Introduction / Introduzione, <<COMUNICAZIONI SOCIALI>>, 2017; XXXVIII n.s. (2): 161-200 [http://hdl.handle.net/10807/92800]

Introduction / Introduzione

Bernardi, Claudio
Primo
;
Fornari, Giuseppe
Secondo
;
2016

Abstract

Esporre un corpo è l’atto e l’effetto di presentare, mettere in mostra o più genericamente mettere fuori qualcuno ai fini di conoscerlo, riconoscerlo, giudicarlo, ammirarlo, ma è anche l’atto o la condizione di esporre qualcuno all’azione di altre persone o di agenti climatici e ambientali. In entrambi i casi l’esposizione fisica può essere vantaggiosa o rischiosa. La condizione più pericolosa di corpi esposti è quella di coloro che vengono abbandonati a se stessi e si trovano inermi e indifesi, in balìa di eventi naturali catastrofici o di azioni offensive e aggressive o in situazioni ambientali e sociali durissime. La peggiore condizione è l’esposizione sacrificale di chi, vivo o morto, viene messo in mostra e dato in pasto al pubblico per condanna morale, ludibrio, gogna, monito, vendetta, voyeurismo, giustizia capitale. L’avvento prima della società dell’immagine e dello spettacolo e poi dei social media ha portato alla massima esposizione di corpi, indotta dalla bulimica voglia di vedere e farsi vedere. La celebrazione mediale del corpo umano sembra polarizzarsi oggi su due modellizzazioni, quella del “corpo tecnologico” o “corpo macchina”, oggetto di sperimentazioni e virtualizzazioni, e quella del “corpo desiderio”, tonico, bello, allenato, pubblicizzato come sacrario della soddisfazione privata e dell’autoesaltazione erotica ed estetica. Nel primo caso, a causa dei suoi limiti e della sua fragilità, il corpo risulta una parte maledetta dell’uomo, per cui la scienza e la tecnica si prodigano per trovare soluzioni alla deperibilità del corpo rimodellandone, potenziandone o sostituendone parti. Nel secondo caso, l’idolatria del corpo passa attraverso la cura ossessiva della linea, della forma, del benessere e la preoccupazione di restare e apparire giovani. In entrambi i casi il corpo funziona come un alter ego. L’individuo percepisce il proprio corpo come diverso da lui. La nuova versione del dualismo anima/corpo è oggi individuo/corpo. Il corpo però sostituendo l’anima, invisibile, spirituale, perfetta, immateriale, immortale, arriva alle stesse pretese di perfezione. Essendo però visibile, il corpo perfetto si deve incarnare in modelli sottoposti a processi di divinizzazione attraverso immagini o rappresentazioni idealizzate o in divi dello spettacolo. In entrambi i modelli l’alienazione del corpo soggiace alla legge del desiderio mimetico. A quale modello di corpo, infatti, si cerca di conformare il proprio corpo? Chi sono i modelli o i mediatori del corpo desiderato? Ma se questi modelli sono immagini di corpi spettacolari e ideali, corpi cioè continuamente sostituiti e ritoccati, la frustrazione delle persone non può che essere permanente... Nel contesto antropologico contemporaneo di dualismo tra corpo/mente esasperato dall’alta esposizione di tutti al desiderio mimetico di un corpo divino e di un corpo plastico, manipolabile, sostituibile, intercambiabile, il teatro e le arti performative svolgono un doppio ruolo di critica e di cura. Fin dagli albori, infatti, il teatro ha sviluppato una sapienza critica delle rappresentazioni e degli effetti tragici del desiderio mimetico. Come arte dei corpi, il teatro sviluppa sempre più, a fianco della catarsi cognitiva delle “cattive rappresentazioni” della collettività, la cura “fisica” e relazionale delle persone, dei gruppi, delle comunità, del corpo sociale, trasformando gli spettatori in attori dei propri vissuti, lavorando con i corpi, sui corpi e per i corpi reali delle persone alla ricerca non della messa in scena narcisistica di sé, ma dell’incarnazione irriducibile di sé come apertura all’altro e agli altri.
2016
Italiano
Inglese
Bernardi, C., Fornari, G., Breton, D. L., Introduction / Introduzione, <<COMUNICAZIONI SOCIALI>>, 2017; XXXVIII n.s. (2): 161-200 [http://hdl.handle.net/10807/92800]
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