La riflessione sulla disabilità e sulla condizione umana non può prescindere dal contesto globalizzato che caratterizza la società contemporanea. L’attuale clima di fiducia –sfiducia nei confronti della ragione (fiducia nella scienza, sfiducia nella sua capacità di elaborare una valutazione assiologica condivisibile) è il frutto di un percorso che ha portato progressivamente alla identificazione della ragione con la sua dimensione calcolante, scientifica e, quindi, all’esilio dell’etica dalla razionalità intersoggettiva a favore della relatività soggettiva. A questa osservazione si potrebbe obiettare che, contrariamente al positivismo ottocentesco, le scienze empiriche non sono oggi affatto neutrali rispetto alla questione del senso poiché hanno proprio la pretesa di dire esaustivamente della struttura e del significato dell’uomo e del mondo: secondo tale visione l’impresa scientifica diviene senso a se stessa e il miglioramento dell’uomo le appartiene di diritto. Accanto a questo però, con una evidente contraddizione, riceviamo e rivolgiamo ad altri richiami alla responsabilità comune, alla cura, alla cooperazione: se questi discorsi non sono insensati, rimane da capire se esistano, e quali siano, categorie concettuali per parlare dell’uomo, e qui concretamente della condizione di disabilità, che vadano oltre la mera descrizione fattuale. Nell’epoca contemporanea tale universale sembra, a prima vista, poter essere trovato in un comune riferimento ai diritti umani. Il testo prende in esame le condizioni di possibilità perché i diritti umani possano effettivamente essere pensati come linguaggio universale ed evidenza due errori che ne possono inficiare la cogenza: l’atomismo sociale e il contrattualismo. Come integrazione della teoria dei diritti viene presa in esame la cosiddetta etica delle capacità, nella duplice versione offerta da Sen e da Nussbaum, con una particolare attenzione all’esercizio della ragion pratica e al ruolo della corporeità nell’identità personale. Rispetto alla proposta della Nussbaum vengono anche discusse alcune conclusioni teoriche che sembrano inficiare le premesse stesse della sua teoria e che, contrariamente agli intenti, introducono discriminazioni tra gli esseri umani. Una soluzione a tali difficoltà è infine cercata in un’analisi della struttura permanente dell’umano, mostrando sia la complementarietà tra il linguaggio dei diritti e quello delle capacità, sia come la tutela giuridica dei beni umani, benché necessaria, affondi comunque le sue radici nel prepolitico.

Colombetti, E., Singolarità e universalità nel linguaggio dei diritti umani, in Pessina, A. (ed.), Paradoxa. Etica della condizione umana, Vita e Pensiero, Milano 2010: 165- 198 [http://hdl.handle.net/10807/8022]

Singolarità e universalità nel linguaggio dei diritti umani

Colombetti, Elena
2010

Abstract

La riflessione sulla disabilità e sulla condizione umana non può prescindere dal contesto globalizzato che caratterizza la società contemporanea. L’attuale clima di fiducia –sfiducia nei confronti della ragione (fiducia nella scienza, sfiducia nella sua capacità di elaborare una valutazione assiologica condivisibile) è il frutto di un percorso che ha portato progressivamente alla identificazione della ragione con la sua dimensione calcolante, scientifica e, quindi, all’esilio dell’etica dalla razionalità intersoggettiva a favore della relatività soggettiva. A questa osservazione si potrebbe obiettare che, contrariamente al positivismo ottocentesco, le scienze empiriche non sono oggi affatto neutrali rispetto alla questione del senso poiché hanno proprio la pretesa di dire esaustivamente della struttura e del significato dell’uomo e del mondo: secondo tale visione l’impresa scientifica diviene senso a se stessa e il miglioramento dell’uomo le appartiene di diritto. Accanto a questo però, con una evidente contraddizione, riceviamo e rivolgiamo ad altri richiami alla responsabilità comune, alla cura, alla cooperazione: se questi discorsi non sono insensati, rimane da capire se esistano, e quali siano, categorie concettuali per parlare dell’uomo, e qui concretamente della condizione di disabilità, che vadano oltre la mera descrizione fattuale. Nell’epoca contemporanea tale universale sembra, a prima vista, poter essere trovato in un comune riferimento ai diritti umani. Il testo prende in esame le condizioni di possibilità perché i diritti umani possano effettivamente essere pensati come linguaggio universale ed evidenza due errori che ne possono inficiare la cogenza: l’atomismo sociale e il contrattualismo. Come integrazione della teoria dei diritti viene presa in esame la cosiddetta etica delle capacità, nella duplice versione offerta da Sen e da Nussbaum, con una particolare attenzione all’esercizio della ragion pratica e al ruolo della corporeità nell’identità personale. Rispetto alla proposta della Nussbaum vengono anche discusse alcune conclusioni teoriche che sembrano inficiare le premesse stesse della sua teoria e che, contrariamente agli intenti, introducono discriminazioni tra gli esseri umani. Una soluzione a tali difficoltà è infine cercata in un’analisi della struttura permanente dell’umano, mostrando sia la complementarietà tra il linguaggio dei diritti e quello delle capacità, sia come la tutela giuridica dei beni umani, benché necessaria, affondi comunque le sue radici nel prepolitico.
2010
Italiano
Paradoxa. Etica della condizione umana
978-88-343-1943-7
Colombetti, E., Singolarità e universalità nel linguaggio dei diritti umani, in Pessina, A. (ed.), Paradoxa. Etica della condizione umana, Vita e Pensiero, Milano 2010: 165- 198 [http://hdl.handle.net/10807/8022]
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