Questa prova triennale ha messo in luce gli effetti di tre modalità di lavorazione del terreno (convenzionale, ridotta e non-lavorazione) sulle rese del mais da granella e sullo stato di salute del terreno. Nell’agrosistema convenzionale intensivo (CT), si è documentato il progressivo degradarsi dei servizi ecosistemici nel suolo, riconducibili alla perdita di sostanza organica e ai bassi livelli dell’indice di struttura. Viceversa, per gli agrosistemi conservativi, sia quello a minima lavorazione (MT), sia quello a non-lavorazione (NT), si sono registrati diversi vantaggi legati alle tecniche agronomiche utilizzate. In particolare, la non-lavorazione ha portato ad una maggiore dotazione organica del suolo, oltre al consolidamento della stabilità strutturale del terreno e all’aumento della biodiversità pedologica. La lavorazione ridotta si caratterizza per risultati intermedi fra la gestione arativa convenzionale e la non-lavorazione, ma nell’ultimo anno ha fatto registrare un aumento repentino della stabilità strutturale e della sostanza organica del terreno, in buona parte imputabili al consistente apporto di letame. Si conferma, così, che i vantaggi di una lauta concimazione organica si protraggono per un numero limitato di anni (2-3), dopodiché risulta nuovamente necessario un intervento di ripristino della fertilità agronomica. La non-lavorazione, infine, si sta dimostrando in grado di migliorare la qualità del suolo, di anno in anno e senza discontinuità, anche se ad un ritmo relativamente lento. L’incremento della sostanza organica pedologica, che appare già chiaro in questi primi anni di conversione, potrebbe essere accelerato con l’impiego delle colture di copertura (cover crops) nel periodo autunno-primaverile. Occorre ribadire che la variazione del sistema di gestione del terreno è ancora in una fase di transizione, che viene indicata essere della durata di 3-5 anni, prima che il regime sodivo si stabilisca compiutamente e che le rese colturali eguaglino quelle dei sistemi convenzionali. Inoltre, bisogna porre l’attenzione anche sugli innumerevoli benefici per l’ambiente e sulla forte riduzione di costi che la non-lavorazione è in grado di generare: si stima che il risparmio complessivo possa arrivare fino al 50-70% dei normali costi di lavorazione. Purtroppo, la difficoltà maggiore che gli agricoltori conservativi devono affrontare è rappresentata dalla scarsa disponibilità di adeguate soluzioni meccaniche per la gestione conservativa del suolo e soprattutto per la semina su sodo, oltre che dalla limitata esperienza scientifica e tecnica.

Fiorini, A., Ganimede, C., Santelli, S., Cervi Ciboldi, C., Grandi, M., Tabaglio, V., Prove di agricoltura conservativa: un’esperienza triennale nel Cremonese, <<TERRA E VITA>>, 2014; 54 (27): 20-22 [http://hdl.handle.net/10807/62452]

Prove di agricoltura conservativa: un’esperienza triennale nel Cremonese

Fiorini, Andrea;Ganimede, Cristina;Santelli, Stefano;Grandi, Mauro;Tabaglio, Vincenzo
2014

Abstract

Questa prova triennale ha messo in luce gli effetti di tre modalità di lavorazione del terreno (convenzionale, ridotta e non-lavorazione) sulle rese del mais da granella e sullo stato di salute del terreno. Nell’agrosistema convenzionale intensivo (CT), si è documentato il progressivo degradarsi dei servizi ecosistemici nel suolo, riconducibili alla perdita di sostanza organica e ai bassi livelli dell’indice di struttura. Viceversa, per gli agrosistemi conservativi, sia quello a minima lavorazione (MT), sia quello a non-lavorazione (NT), si sono registrati diversi vantaggi legati alle tecniche agronomiche utilizzate. In particolare, la non-lavorazione ha portato ad una maggiore dotazione organica del suolo, oltre al consolidamento della stabilità strutturale del terreno e all’aumento della biodiversità pedologica. La lavorazione ridotta si caratterizza per risultati intermedi fra la gestione arativa convenzionale e la non-lavorazione, ma nell’ultimo anno ha fatto registrare un aumento repentino della stabilità strutturale e della sostanza organica del terreno, in buona parte imputabili al consistente apporto di letame. Si conferma, così, che i vantaggi di una lauta concimazione organica si protraggono per un numero limitato di anni (2-3), dopodiché risulta nuovamente necessario un intervento di ripristino della fertilità agronomica. La non-lavorazione, infine, si sta dimostrando in grado di migliorare la qualità del suolo, di anno in anno e senza discontinuità, anche se ad un ritmo relativamente lento. L’incremento della sostanza organica pedologica, che appare già chiaro in questi primi anni di conversione, potrebbe essere accelerato con l’impiego delle colture di copertura (cover crops) nel periodo autunno-primaverile. Occorre ribadire che la variazione del sistema di gestione del terreno è ancora in una fase di transizione, che viene indicata essere della durata di 3-5 anni, prima che il regime sodivo si stabilisca compiutamente e che le rese colturali eguaglino quelle dei sistemi convenzionali. Inoltre, bisogna porre l’attenzione anche sugli innumerevoli benefici per l’ambiente e sulla forte riduzione di costi che la non-lavorazione è in grado di generare: si stima che il risparmio complessivo possa arrivare fino al 50-70% dei normali costi di lavorazione. Purtroppo, la difficoltà maggiore che gli agricoltori conservativi devono affrontare è rappresentata dalla scarsa disponibilità di adeguate soluzioni meccaniche per la gestione conservativa del suolo e soprattutto per la semina su sodo, oltre che dalla limitata esperienza scientifica e tecnica.
2014
Italiano
Fiorini, A., Ganimede, C., Santelli, S., Cervi Ciboldi, C., Grandi, M., Tabaglio, V., Prove di agricoltura conservativa: un’esperienza triennale nel Cremonese, <<TERRA E VITA>>, 2014; 54 (27): 20-22 [http://hdl.handle.net/10807/62452]
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