Il contributo è il capitolo introduttivo di un volume nel quale si restituiscono i risultati di una ricerca sui "ceti popolari" della provincia di Siena. Occorre allora giustificare la scelta di dedicare una specifica attenzione a quella parte di popolazione qui indicata con l’espressione ceti popolari e, parallelamente, spiegare il significato e l’accezione con cui viene utilizzata questa stessa espressione. A proposito si può allora segnalare come l’idea di concentrarsi su questa specifica parte della popolazione nasca dalla constatazione che, mentre esistono numerosi studi sull’area della marginalità e del disagio sociale così come, all’apposto, sulle élite, siano invece rari i lavori contemporanei dedicati a quella parte di popolazione che vive in una situazione di – da molti di vista – subordinazione, senza tuttavia trovarsi per questo in una condizione appunto di marginalità sociale. Una fascia di popolazione che, fino a qualche anno fa, avrebbe potuto facilmente essere identificata con la classe operaia. Perché allora, in questa ricerca, non è stata utilizzata quest’ultima definizione e si è preferito invece parlare, appunto, di ceti popolari? Una prima risposta sta nei mutamenti che hanno modificato l’assetto della nostra società, rendendone di fatto più complessa la struttura. Il concetto di classe fa riferimento, infatti, a una situazione nella quale i rapporti gerarchici interni alla società appaiono espliciti, ben visibili e chiaramente definiti, nonché fondati prevalentemente sulla posizione assunta dai soggetti all’interno del sistema produttivo. Oggi, invece, tale gerarchia appare forse più sfumata nelle sue posizioni specifiche ma, al tempo stesso, più diffusa, implicita e fondata anche su differenze e caratteristiche di tipo culturale (Magatti, De Benedittis, 2006: 21). Proprio a sottolineare la rilevanza di questa dimensione culturale e comunque la pluralità degli elementi che vanno a definire la posizione sociale dei singoli, non riconducibile alla semplice condivisione di una medesima condizione occupazionale, si è preferito allora il concetto di ceto a quello di classe. Anzi, si è deciso di utilizzare il plurale ceti al fine di sottolineare ulteriormente la molteplicità delle situazioni e delle condizioni che possono concorrere a determinare una posizione sociale di sostanziale subordinazione. Sostanziale subordinazione esplicitata dall’espressione popolari, laddove per popolare, anche nell’accezione corrente del termine, si intende qualcosa di scarso prestigio e in quanto tale accessibile a tutti, non sofisticato e in qualche modo legato ai tratti dell’essenzialità e degli aspetti più materiali del vivere quotidiano. Popolare che può essere inteso pure come qualcosa di profondamente intrecciato con la tradizione, sottolineando con ciò anche una certa incapacità nello stare al passo coi tempi.

Berti, F., Caselli, M., Chi sono e perché si studiano i ceti popolari, in Berti, F., Nasi, L. (ed.), Ceti popolari. Una ricerca sulle nuove vulnerabilità sociali, Franco Angeli, Milano 2011: 7- 18 [http://hdl.handle.net/10807/2417]

Chi sono e perché si studiano i ceti popolari

Berti, Fabio;Caselli, Marco
2011

Abstract

Il contributo è il capitolo introduttivo di un volume nel quale si restituiscono i risultati di una ricerca sui "ceti popolari" della provincia di Siena. Occorre allora giustificare la scelta di dedicare una specifica attenzione a quella parte di popolazione qui indicata con l’espressione ceti popolari e, parallelamente, spiegare il significato e l’accezione con cui viene utilizzata questa stessa espressione. A proposito si può allora segnalare come l’idea di concentrarsi su questa specifica parte della popolazione nasca dalla constatazione che, mentre esistono numerosi studi sull’area della marginalità e del disagio sociale così come, all’apposto, sulle élite, siano invece rari i lavori contemporanei dedicati a quella parte di popolazione che vive in una situazione di – da molti di vista – subordinazione, senza tuttavia trovarsi per questo in una condizione appunto di marginalità sociale. Una fascia di popolazione che, fino a qualche anno fa, avrebbe potuto facilmente essere identificata con la classe operaia. Perché allora, in questa ricerca, non è stata utilizzata quest’ultima definizione e si è preferito invece parlare, appunto, di ceti popolari? Una prima risposta sta nei mutamenti che hanno modificato l’assetto della nostra società, rendendone di fatto più complessa la struttura. Il concetto di classe fa riferimento, infatti, a una situazione nella quale i rapporti gerarchici interni alla società appaiono espliciti, ben visibili e chiaramente definiti, nonché fondati prevalentemente sulla posizione assunta dai soggetti all’interno del sistema produttivo. Oggi, invece, tale gerarchia appare forse più sfumata nelle sue posizioni specifiche ma, al tempo stesso, più diffusa, implicita e fondata anche su differenze e caratteristiche di tipo culturale (Magatti, De Benedittis, 2006: 21). Proprio a sottolineare la rilevanza di questa dimensione culturale e comunque la pluralità degli elementi che vanno a definire la posizione sociale dei singoli, non riconducibile alla semplice condivisione di una medesima condizione occupazionale, si è preferito allora il concetto di ceto a quello di classe. Anzi, si è deciso di utilizzare il plurale ceti al fine di sottolineare ulteriormente la molteplicità delle situazioni e delle condizioni che possono concorrere a determinare una posizione sociale di sostanziale subordinazione. Sostanziale subordinazione esplicitata dall’espressione popolari, laddove per popolare, anche nell’accezione corrente del termine, si intende qualcosa di scarso prestigio e in quanto tale accessibile a tutti, non sofisticato e in qualche modo legato ai tratti dell’essenzialità e degli aspetti più materiali del vivere quotidiano. Popolare che può essere inteso pure come qualcosa di profondamente intrecciato con la tradizione, sottolineando con ciò anche una certa incapacità nello stare al passo coi tempi.
2011
Italiano
Ceti popolari. Una ricerca sulle nuove vulnerabilità sociali
978-88-568-3424-6
Berti, F., Caselli, M., Chi sono e perché si studiano i ceti popolari, in Berti, F., Nasi, L. (ed.), Ceti popolari. Una ricerca sulle nuove vulnerabilità sociali, Franco Angeli, Milano 2011: 7- 18 [http://hdl.handle.net/10807/2417]
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