La finanza sociale, che ha trovato finalmente accoglienza anche nella terminologia del legislatore, può svolgere una funzione fondamentale nell’aiutare cooperative e imprese sociali a sganciarsi dalla dipendenza finanziaria del settore pubblico. L’innovazione finanziaria mette a disposizione del nonprofit e delle imprese sociali una serie di strumenti (ad es. crowdfunding, mini-bond, social impact bond) e di operatori (fondi, incubatori, venture capitalist) che possono consentire un’adeguata diversificazione delle fonti di finanziamento assieme alla possibilità di sperimentare forme di innovazione nell’erogazione dei servizi. Tra gli strumenti più promettenti, i Social Impact Bond sono di sicuro al centro del dibattito da diversi anni. Accademici e policymakers ne evidenziano le grandi virtù, in quanto i SIB consentono di attirare capitale privato che viene remunerato solo a risultati di impatto sociale raggiunti; qualcuno ne segnala i potenziali limiti, come schemi di partenariato pubblico – privato che estrarrebbe rendimenti finanziari da condizioni di disagio sociale. Tuttavia, l’interesse del mercato non è stato certamente grande quanto il dibattito tra fautori e avversari dei SIB. Dal 2011, data del primo SIB emesso, in tutto il mondo sono stati emessi 107 SIB (al 31/12/2017) il che lascia qualche dubbio sulla scalabilità di questo schema. In effetti gli ostacoli alla diffusione dei SIB sono numerosi: la difficoltà di individuare parametri di impatto sociale oggettivi e misurabili; la complessità contrattuale; l’avversione al rischio della PA e degli operatori del terzo settore. Questi fattori incidono molto sulla propensione degli investitori istituzionali a ad investire nei SIB e, pertanto, ne limitano la diffusione. Molti studi si sono focalizzati sugli aspetti economico – finanziari dei SIB, in particolare sul rendimento atteso. Tuttavia, essendo questi investitori interessati ad un blended value dell’investimento (quindi sia finanziario sia sociale), è più interessante verificare se il design contrattuale giochi un ruolo nell’attirare o meno l’interesse degli investitori. A tal proposito, ci viene in aiuto la teoria dell’agenzia che viene usata in ambito economico per comprendere le relazioni contrattuali in assenza di uniformità di informazione tra le parti. Infatti, tra i player coinvolti in un SIB, l’investitore istituzionale è quello meno informato sulle reali probabilità di successo del progetto e meno dotato di strumenti di monitoraggio dell’operato dell’erogatore del servizio.

Del Giudice, A., I Social Impact Bond: Un’analisi empirica del design contrattuale e delle condizioni finanziarie, in Debora Caldirol, D. C. (ed.), Impresa Sociale Welfare e Mercato, Vita e Pensiero, Milano 2019: 171- 190 [http://hdl.handle.net/10807/147407]

I Social Impact Bond: Un’analisi empirica del design contrattuale e delle condizioni finanziarie

Del Giudice, Alfonso
2019

Abstract

La finanza sociale, che ha trovato finalmente accoglienza anche nella terminologia del legislatore, può svolgere una funzione fondamentale nell’aiutare cooperative e imprese sociali a sganciarsi dalla dipendenza finanziaria del settore pubblico. L’innovazione finanziaria mette a disposizione del nonprofit e delle imprese sociali una serie di strumenti (ad es. crowdfunding, mini-bond, social impact bond) e di operatori (fondi, incubatori, venture capitalist) che possono consentire un’adeguata diversificazione delle fonti di finanziamento assieme alla possibilità di sperimentare forme di innovazione nell’erogazione dei servizi. Tra gli strumenti più promettenti, i Social Impact Bond sono di sicuro al centro del dibattito da diversi anni. Accademici e policymakers ne evidenziano le grandi virtù, in quanto i SIB consentono di attirare capitale privato che viene remunerato solo a risultati di impatto sociale raggiunti; qualcuno ne segnala i potenziali limiti, come schemi di partenariato pubblico – privato che estrarrebbe rendimenti finanziari da condizioni di disagio sociale. Tuttavia, l’interesse del mercato non è stato certamente grande quanto il dibattito tra fautori e avversari dei SIB. Dal 2011, data del primo SIB emesso, in tutto il mondo sono stati emessi 107 SIB (al 31/12/2017) il che lascia qualche dubbio sulla scalabilità di questo schema. In effetti gli ostacoli alla diffusione dei SIB sono numerosi: la difficoltà di individuare parametri di impatto sociale oggettivi e misurabili; la complessità contrattuale; l’avversione al rischio della PA e degli operatori del terzo settore. Questi fattori incidono molto sulla propensione degli investitori istituzionali a ad investire nei SIB e, pertanto, ne limitano la diffusione. Molti studi si sono focalizzati sugli aspetti economico – finanziari dei SIB, in particolare sul rendimento atteso. Tuttavia, essendo questi investitori interessati ad un blended value dell’investimento (quindi sia finanziario sia sociale), è più interessante verificare se il design contrattuale giochi un ruolo nell’attirare o meno l’interesse degli investitori. A tal proposito, ci viene in aiuto la teoria dell’agenzia che viene usata in ambito economico per comprendere le relazioni contrattuali in assenza di uniformità di informazione tra le parti. Infatti, tra i player coinvolti in un SIB, l’investitore istituzionale è quello meno informato sulle reali probabilità di successo del progetto e meno dotato di strumenti di monitoraggio dell’operato dell’erogatore del servizio.
2019
Italiano
Impresa Sociale Welfare e Mercato
9788826602110
Vita e Pensiero
Del Giudice, A., I Social Impact Bond: Un’analisi empirica del design contrattuale e delle condizioni finanziarie, in Debora Caldirol, D. C. (ed.), Impresa Sociale Welfare e Mercato, Vita e Pensiero, Milano 2019: 171- 190 [http://hdl.handle.net/10807/147407]
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