La tumultuosa crescita del mercato del private equity in fondi di venture capital o in operazioni di leveraged buyout, verificatasi nei Paesi anglosassoni, tradizionali apripista di operazioni e strumenti finanziari innovativi, ha interessato anche – seppure a scoppio ritardato e con volumi più contenuti - l’Europa continentale e il nostro Paese. Il ritardo dell’Italia – tutt’altro che sorprendente – da un lato ha consentito di cogliere solo in parte opportunità per finanziare imprese tecnologicamente innovative o agevolare cambi di proprietà anche in occasioni di ristrutturazioni e passaggi generazionali, ma dall’altro la sta ponendo parzialmente al riparo da problemi sistemici, che manifestano rilevanti ripercussioni su mercati e intermediari finanziari. L’esplosione della liquidità nei mercati finanziari internazionali, verificatasi dal 2003 (dopo il riassorbimento dei cali borsistici seguiti all’esplosione della bolla speculativa di Internet e dopo l'11 settembre 2001 ) fino al giugno 2007, quando il mercato dei mutui subprime ha cominciato a scricchiolare , ha tante cause, anche interagenti tra di loro, ed è dovuta anzitutto a investimenti dei surplus dei paesi produttori di petrolio, agli avanzi di paesi emergenti (specialmente asiatici), interessati da una crescita economica strutturale senza precedenti, con alimentazione di fondi sovrani sempre più rilevanti , a tassi di interesse nominali e reali ai minimi storici, con conseguente riduzione del costo del denaro. Anche il denaro e la liquidità sono – a ben vedere – una “materia prima”, che mai come nel periodo descritto è stata abbondante, a buon mercato e alla naturale ricerca di impieghi remunerativi , che hanno investito le attività reali come un fiume in piena, prorompente e non sempre selettivo. La crescita dei mercati azionari ha aumentato i guadagni e prodotto nuova liquidità, in un circolo virtuoso che si è autoalimentato, sostenuto da un robusto sviluppo economico mondiale, pur con molte differenze, ai loro estremi esemplificate dal boom delle tigri asiatiche, da un lato, cui ha fatto da contraltare l’asfittica crescita dell’Europa, dall’altro. L’Italia, fanalino di coda, ha avuto e ancora manifesta crescenti difficoltà ad unirsi a questo processo di crescita (oggi in rallentamento) e ad attrarre investimenti internazionali, calamitati da altri paesi con prospettive più intriganti.

Moro Visconti, R., Funding del private equity tra crisi di liquidità e problemi di governance: quali lezioni per l'Italia?, <<BANCARIA>>, 2008; (7-8): 2-10 [http://hdl.handle.net/10807/127030]

Funding del private equity tra crisi di liquidità e problemi di governance: quali lezioni per l'Italia?

Moro Visconti, Roberto
2008

Abstract

La tumultuosa crescita del mercato del private equity in fondi di venture capital o in operazioni di leveraged buyout, verificatasi nei Paesi anglosassoni, tradizionali apripista di operazioni e strumenti finanziari innovativi, ha interessato anche – seppure a scoppio ritardato e con volumi più contenuti - l’Europa continentale e il nostro Paese. Il ritardo dell’Italia – tutt’altro che sorprendente – da un lato ha consentito di cogliere solo in parte opportunità per finanziare imprese tecnologicamente innovative o agevolare cambi di proprietà anche in occasioni di ristrutturazioni e passaggi generazionali, ma dall’altro la sta ponendo parzialmente al riparo da problemi sistemici, che manifestano rilevanti ripercussioni su mercati e intermediari finanziari. L’esplosione della liquidità nei mercati finanziari internazionali, verificatasi dal 2003 (dopo il riassorbimento dei cali borsistici seguiti all’esplosione della bolla speculativa di Internet e dopo l'11 settembre 2001 ) fino al giugno 2007, quando il mercato dei mutui subprime ha cominciato a scricchiolare , ha tante cause, anche interagenti tra di loro, ed è dovuta anzitutto a investimenti dei surplus dei paesi produttori di petrolio, agli avanzi di paesi emergenti (specialmente asiatici), interessati da una crescita economica strutturale senza precedenti, con alimentazione di fondi sovrani sempre più rilevanti , a tassi di interesse nominali e reali ai minimi storici, con conseguente riduzione del costo del denaro. Anche il denaro e la liquidità sono – a ben vedere – una “materia prima”, che mai come nel periodo descritto è stata abbondante, a buon mercato e alla naturale ricerca di impieghi remunerativi , che hanno investito le attività reali come un fiume in piena, prorompente e non sempre selettivo. La crescita dei mercati azionari ha aumentato i guadagni e prodotto nuova liquidità, in un circolo virtuoso che si è autoalimentato, sostenuto da un robusto sviluppo economico mondiale, pur con molte differenze, ai loro estremi esemplificate dal boom delle tigri asiatiche, da un lato, cui ha fatto da contraltare l’asfittica crescita dell’Europa, dall’altro. L’Italia, fanalino di coda, ha avuto e ancora manifesta crescenti difficoltà ad unirsi a questo processo di crescita (oggi in rallentamento) e ad attrarre investimenti internazionali, calamitati da altri paesi con prospettive più intriganti.
2008
Italiano
Moro Visconti, R., Funding del private equity tra crisi di liquidità e problemi di governance: quali lezioni per l'Italia?, <<BANCARIA>>, 2008; (7-8): 2-10 [http://hdl.handle.net/10807/127030]
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