Nel maggio 1997, poco dopo la vittoria elettorale laburista, il nuovo Cancelliere Brown avviava la riforma secondo cui tutte le responsabilità circa la regolamentazione dell’industria finanziaria sarebbero state accentrate presso un’unica istituzione: la Financial Services Authority (FSA). Nel 2000, con l’approvazione del Financial Services and Market Act (FSMA), la nuova struttura ha ricevuto piena sanzione legislativa. Attualmente la FSA è il regolatore finanziario col più ampio mandato al mondo. L’esigenza fondamentale di questa profonda riforma nasceva dall’inadeguatezza della cornice normativa precedente nel governare l’impetuoso sviluppo dell’industria finanziaria britannica e dunque nell’assicurare le stesse sorti della City. Il tradizionale favor inglese per la self-regulation, che si esprimeva nell’esistenza di una gamma eterogenea di organismi di auto-regolamentazione, si scontrava con il venir meno di differenziazioni tra i diversi operatori, sia per il sorgere di nuove attività che per l’intrecciarsi di quelle tradizionali, il che suggeriva sempre più una gestione unitaria e di ampio respiro. La struttura pre-esistente si era inoltre rivelata carente di fronte ai ripetuti episodi di mis-selling di prodotti finanziari. A partire dai paesi scandinavi negli anni ’90, la scelta del single regulator per tutto il settore finanziario si è diffusa in molti paesi, dal Giappone alla Corea del Sud, dalla Germania ad alcuni dei nuovi membri dell’UE. A pochi anni dalla riforma è presto per trarre conclusioni circa il successo della FSA che di tutti questi nuovi organismi è il più vasto per poteri e soggetti vigilati. Se pure essa si è già mostrata più efficiente ed efficace rispetto alla pletora dei regolatori precedenti (anche sotto il piano dei costi), è ben più difficile paragonare l’efficienza della struttura della vigilanza di paesi diversi. Le ipotesi ceteris paribus che occorre utilizzare rendono questi esercizi di scarsa utilità. Ma mentre l’assetto degli organi di vigilanza si sviluppa in un determinato contesto storico da cui è difficile estrapolarlo sic et simpliciter, la recente esperienza britannica merita una particolare attenzione per quello che concerne la struttura degli obiettivi della vigilanza e la scelta degli strumenti ottimali per il loro raggiungimento. La pratica della FSA sembra addurre importanti argomenti a favore dell’interazione tra obiettivi macroprudenziali e di tutela del consumatore. Inoltre, l’approccio risk-based presenta un interessante modello per aumentare l’efficienza dell’azione di vigilanza. Un aspetto problematico della struttura descritta è invece il forte legame di dipendenza dell’OdV con il governo (quanto ai propri assetti di governance) e con il mercato (circa il proprio finanziamento). Si può cercare di superare tali criticità affidando gli obiettivi prima discussi a un’autorità con le risorse e l’indipendenza necessarie per perseguirli efficacemente.

Esposito, L., I rischi e gli obiettivi della vigilanza finanziaria. Il caso della Financial Services Authority britannica, <<BANCARIA>>, 2005; 2005 (No. 1): 79-88 [http://hdl.handle.net/10807/122952]

I rischi e gli obiettivi della vigilanza finanziaria. Il caso della Financial Services Authority britannica

Esposito, Lorenzo
Primo
2005

Abstract

Nel maggio 1997, poco dopo la vittoria elettorale laburista, il nuovo Cancelliere Brown avviava la riforma secondo cui tutte le responsabilità circa la regolamentazione dell’industria finanziaria sarebbero state accentrate presso un’unica istituzione: la Financial Services Authority (FSA). Nel 2000, con l’approvazione del Financial Services and Market Act (FSMA), la nuova struttura ha ricevuto piena sanzione legislativa. Attualmente la FSA è il regolatore finanziario col più ampio mandato al mondo. L’esigenza fondamentale di questa profonda riforma nasceva dall’inadeguatezza della cornice normativa precedente nel governare l’impetuoso sviluppo dell’industria finanziaria britannica e dunque nell’assicurare le stesse sorti della City. Il tradizionale favor inglese per la self-regulation, che si esprimeva nell’esistenza di una gamma eterogenea di organismi di auto-regolamentazione, si scontrava con il venir meno di differenziazioni tra i diversi operatori, sia per il sorgere di nuove attività che per l’intrecciarsi di quelle tradizionali, il che suggeriva sempre più una gestione unitaria e di ampio respiro. La struttura pre-esistente si era inoltre rivelata carente di fronte ai ripetuti episodi di mis-selling di prodotti finanziari. A partire dai paesi scandinavi negli anni ’90, la scelta del single regulator per tutto il settore finanziario si è diffusa in molti paesi, dal Giappone alla Corea del Sud, dalla Germania ad alcuni dei nuovi membri dell’UE. A pochi anni dalla riforma è presto per trarre conclusioni circa il successo della FSA che di tutti questi nuovi organismi è il più vasto per poteri e soggetti vigilati. Se pure essa si è già mostrata più efficiente ed efficace rispetto alla pletora dei regolatori precedenti (anche sotto il piano dei costi), è ben più difficile paragonare l’efficienza della struttura della vigilanza di paesi diversi. Le ipotesi ceteris paribus che occorre utilizzare rendono questi esercizi di scarsa utilità. Ma mentre l’assetto degli organi di vigilanza si sviluppa in un determinato contesto storico da cui è difficile estrapolarlo sic et simpliciter, la recente esperienza britannica merita una particolare attenzione per quello che concerne la struttura degli obiettivi della vigilanza e la scelta degli strumenti ottimali per il loro raggiungimento. La pratica della FSA sembra addurre importanti argomenti a favore dell’interazione tra obiettivi macroprudenziali e di tutela del consumatore. Inoltre, l’approccio risk-based presenta un interessante modello per aumentare l’efficienza dell’azione di vigilanza. Un aspetto problematico della struttura descritta è invece il forte legame di dipendenza dell’OdV con il governo (quanto ai propri assetti di governance) e con il mercato (circa il proprio finanziamento). Si può cercare di superare tali criticità affidando gli obiettivi prima discussi a un’autorità con le risorse e l’indipendenza necessarie per perseguirli efficacemente.
2005
Italiano
Esposito, L., I rischi e gli obiettivi della vigilanza finanziaria. Il caso della Financial Services Authority britannica, <<BANCARIA>>, 2005; 2005 (No. 1): 79-88 [http://hdl.handle.net/10807/122952]
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